Benvenuti nell'Isola Bergamasca

La comunità di tutti

rubinetti
rubinetti

Acqua e salute 

Iniziativa europea per il controllo dei Pfas

Alcuni stati europei hanno già adottato misure più restrittive rispetto alla direttiva europea, stabilendo limiti per i Pfas fino a cinquanta volte più bassi. La Danimarca, ad esempio, ha imposto un limite di due nanogrammi per litro per la somma di quattro sostanze (Pfoa, Pfos, Pfna e Pfhxs) e ha vietato l'uso di Pfas nei contenitori alimentari. Allo stesso modo, Svezia, Paesi Bassi e la regione belga delle Fiandre stanno adottando misure simili per ridurre la presenza di Pfas nelle acque.

Recentemente, il 4 aprile, la Francia ha deciso di vietare la produzione e la vendita di prodotti non essenziali contenenti Pfas. Il disegno di legge proposto dal deputato ecologista Nicholas Thierry è stato approvato in Parlamento con ampio consenso trasversale, con 187 voti a favore e solo cinque contrari. A partire dal 1 gennaio 2026, i Pfas saranno vietati nei cosmetici, nella sciolina e nella produzione di abbigliamento, ad eccezione di quelli utilizzati per la protezione professionale. Al momento, il divieto non include pentole e altri utensili da cucina, ma potrebbe essere considerato in futuro.

Pfas in Italia: emergenza nazionale fuori controllo, l'appello di Greenpeace per una legge

In Italia, nonostante i casi di contaminazione da sostanze perfluoroalchiliche (Pfas), come quello del Veneto, non si intravedono provvedimenti significativi per affrontare questa emergenza ambientale e sanitaria. Il ministero della Salute ha fissato limiti di 500 nanogrammi per litro per i Pfoa e 300 nanogrammi per litro per i Pfos nelle acque destinate al consumo umano, ma questi valori sono considerati ancora troppo elevati.

Giuseppe Ungherese, responsabile della Campagna inquinamento di Greenpeace Italia, ha evidenziato la gravità della situazione: "Il Veneto è teatro di uno dei più grandi casi di contaminazione da Pfas al mondo, e Greenpeace Italia ha rilevato la presenza di queste sostanze anche nei corsi d'acqua della Toscana e nelle acque potabili di diversi comuni della Lombardia e del Piemonte, a concentrazioni che, da oggi, negli Stati Uniti sono considerate pericolose per la salute umana."

Ungherese ha sottolineato l'urgenza di adottare misure severe per limitare l'uso e la produzione di Pfas, seguendo l'esempio degli Stati Uniti. "In Italia – ha spiegato Ungherese – l'inquinamento da Pfas è un'emergenza nazionale fuori controllo, soprattutto per la mancanza di provvedimenti che limitino l'uso e la produzione di queste sostanze a tutela dell'ambiente e della salute. Il governo Meloni segua l'esempio degli Stati Uniti e adotti subito una legge nazionale che vieti l'uso e la produzione di queste pericolose molecole. Non c'è più tempo da perdere: bere acqua pulita e priva di Pfas è un diritto che le istituzioni devono garantire".

Contattaci

Isola-bene-comune

{"contact_street":"","contact_city":"","contact_zip":"","contact_country":null,"contact_state":null},

+39 098 765 4321

eliotedo@teletu.it

@paginafacebook

Calcolo IRPEF

Il calcolo dell'IRPEF si rinnova nel 2024 grazie alle novità della riforma fiscale, che per questo anno d'imposta ha accorpato i primi due scaglioni di reddito riducendo le aliquote in base ai quali si calcolano le imposte dovute dalle persone fisiche.

Il servizio online gratuito messo a disposizione da PMI.it è aggiornato con le nuove aliquote e scaglioni IRPEF e permette di effettuare un confronto tra IRPEF 2024 e 2023, così da valutare l'impatto delle novità e i risparmi conseguiti.

La simulazione, infatti, consente di toccare con mano come aumenta il potere d'acquisto del proprio reddito al netto delle tasse da pagare in dichiarazione dei redditi ma anche in busta paga, andando di fatto a influenzare il calcolo dello stipendio netto.

Per conoscere l'importo dell'IRPEF 2024 dovuta in base al proprio reddito lordo grazie al calcolatore:

  • inserisci il valore della tua retribuzione annua lorda (RAL) o del reddito pensionistico lordo;
  • seleziona il tipo di reddito percepito (da lavoro dipendente, autonomo o da pensione);
  • inserisci il valore delle eventuali deduzioni fiscali spettanti (ad esempio le ritenute previdenziali applicate allo stipendio), diversamente l'importo lordo e l'imponibile coincideranno;
  • indica eventuali carichi di famiglia;
  • inserisci le detrazioni fiscali (come lavoro dipendente, spese mediche o bonus casa).;
  • seleziona la Regione di residenza per calcolare l'addizionale IRPEF applicata;
  • inserisci il valore percentuale dell'addizionale comunale;
  • clicca su Avvia il calcolo.

Calcola l'IRPEF

Inizio modulo

Reddito complessivo lordo:

Indicare il reddito complessivo lordo dell'anno di imposta (es. nel 2024 il reddito del 2023)

Tipologia lavoratore: Dipendente Autonomo Pensionato

Oneri deducibili utili al calcolo della base imponibile

(es. ritenute previdenziali)

Coniuge a carico No Si

Numero di figli a carico NON rientranti nell'Assegno Unico

Numero di figli a carico rientranti nell'Assegno Unico (esclusi portatori di handicap)

Numero di figli a carico portatori di handicap (compresi quelli rientranti nell'Assegno Unico)

Numero di altri familiari a carico

Altre detrazioni fiscali

(es. per lavoro dipendente, spese mediche, Bonus casa etc.)

Percentuale figli a carico

(default 100%)

Regione di residenza Seleziona una regione Abruzzo Basilicata Provincia autonoma di Bolzano Calabria Campania Emilia Romagna Friuli Venezia Giulia Lazio Liguria Lombardia Marche Molise Piemonte Puglia Sardegna Sicilia Toscana Provincia autonoma di Trento Umbria Valle d'Aosta Veneto

Aliquota addizionale comunale

(default 0.8%, cambiare se si conosce)

Avvia il calcolo

Fine modulo

Al termine dell'elaborazione del calcolo conoscerai sia l'IRPEF lorda che l'IRPEF netta, nonché le corrispondenti aliquote medie applicate ai tuoi redditi e il confronto con le tasse che avresti pagato, a parità di reddito, con gli scaglioni in vigore nel 2023.

Come funziona il calcolatore dell'IRPEF

Per calcolare l'IRPEF il tool gratuito di PMI.it parte dal reddito lordo, ovvero la cosiddetta RAL, o retribuzione annua lorda. Per arrivare all'imponibile, che rappresenta a base alla quale applicare aliquote e scaglioni IRPEF, è necessario sottrarre eventuali deduzioni IRPEF. Tra gli importi che riducono la base imponibile rientrano, ad esempio, le ritenute previdenziali. Se non ci sono importi da dedurre, l'imponibile corrisponde al reddito annuo lordo.

Una volta determinata la base imponibile si applicano le aliquote IRPEF, che rappresentano la percentuale che deve essere pagata per ciascun scaglione di reddito. Maggiore è il reddito, maggiore sarà l'aliquota applicata. Nel 2024 le aliquote IRPEF sono diventate tre.

Scaglioni di reddito 2024

Aliquota IRPEF

fino a 28.000 euro

23%

da 28.001 a 50.000 euro

35%

oltre 50.000

43%

Sulla base del reddito imponibile vengono calcolate anche le addizionali IRPEF regionali e comunali.

Per arrivare al risultato finale vengono sottratte dall'imposta dovuta eventuali detrazioni fiscali spettanti. Tra le detrazioni si annoverano quelle per familiari a carico, spese mediche, mutui casa, lavoro dipendente e così via. Da ricordare che, alle detrazioni IRPEF, nel 2024, si applica una franchigia fino a 260 euro per i redditi sopra i 50mila euro.

Quanto si risparmia con l'IRPEF 2024

Il calcolatore dell'IRPEF 2024 messo a disposizione da PMI.it fornisce altresì un utile confronto tra le imposte che si pagheranno con le nuove tre aliquote IRPEF, rispetto a quelle che si sarebbero pagate rimanendo con i quattro scaglioni del 2023. Ovvero:

Scaglioni di reddito 2023

Aliquota IRPEF

fino a 15.000 euro (23%)

da 15.001 a 28.000 euro (25%)

da 28.001 a 50.000 euro ()35%)

oltre 50.000 ()43%

Fondamentalmente le aliquote IRPEF 2024 consentono di conseguire un risparmio sui redditi tra i 15.0001 a 28mila euro.

No Tax area

Per i redditi fino a 15.000 euro non ci sono differenze di rilievo tra l'IRPEF 2023 e 2024, a meno che non si ricada nella "no tax area", qualora si percepiscano redditi inferiori alla soglia sotto la quale non si è tenuti a pagare l'IRPEF.

Nel 2023, questa soglia era fissata a 8.145 euro annui per i dipendenti, 8.500 euro per i pensionati. Per il 2024, la no tax area è stata uniformata per dipendenti e pensionati, a 8.500 euro. Restando a 5.500 euro per i lavoratori autonomi.

Sotto queste soglie non si è tenuti a versare alcuna imposta sul reddito, comprese le addizionali. Di contro non spettano però neanche la maggior parte delle detrazioni fiscali, che possono essere fruite solo in caso di capienza (ovvero se c'è IRPEF da versare).


LEGGE DI BILANCIO 2024

Bonus 2024 in Manovra: tra le novità della legge di bilancio ci sono anche abolizioni e rimodulazioni di precedenti agevolazioni: facciamo il punto.

bonus innovati o istituiti per il 2024 sono uno dei temi chiave della Manovra, che contiene diverse proroghe ed alcune novità agevolative, ma anche molte abolizioni. Non solo: anche tra i bonus confermati ci sono importanti ridimensionamenti, che ne riducono il valore effettivo.

Vediamo dunque cos cambia per i bonus 2024 in Manovra, tra restyling, cancellazione o décalage.

Bonus 2024 aboliti

Tra le agevolazioni destinate a scomparire con il nuovo anno figurano ad esempio le seguenti.

Bonus Case Green

E’ la detrazione IRPEF del 50% sull’IVA pagata per l’acquisto di immobili residenziali appartenenti alle classi A e B. L’incentivo non è stato rinnovato nel 2024.

Bonus acqua potabile

Credito d’imposta del 50% applicato alle spese sostenute per l’acquisto e l’installazione di sistemi di filtraggio e mineralizzazione. Il bonus si applica solo entro il 31 dicembre 2023 fino ad esaurimento risorse.

Bonus Cultura 500 euro App18

Il bonus da 500 euro per i maggiorenni sarà sostituito da due voucher: la Carta cultura e la Carta del Merito, concesse rispettivamente in base al reddito e al raggiungimento del voto massimo all’esame di Stato finale.

Ascolta il podcast di PMI.it

Bonus 2024 con décalage

Bonus Mobili

La detrazione del 50% per l’acquisto di mobili e grandi elettrodomestici destinati a un immobile in ristrutturazione si baserà su una spesa massima pari a 5mila euro, contro gli attuali 8mila;

Superbonus

Dal 90% applicato alle spese sostenute nel 2023 si passerà al 70% nel 2024, mentre il 110% avrà valore solo fino a fine 2023 per i lavori già avviati nel 2022.

Bonus Trasporti

Il contributo di 60 euro sull’acquisto degli abbonamenti ai mezzi pubblici potrebbe essere destinato solo ai nuclei familiari con ISEE fino a 15mila euro.

Bonus 2024 confermati

Ci sono infine una serie di agevolazioni che sono confermate. Alcune in misura piena, altre con rimodulazioni. Si uniscono alla folta schiera di piccole e grandi nuovi aiuti inseriti nella Manovra dal Governo. Vediamo di seguito alcuni esempi.

Bonus Edilizi

Nel 2024 restano i più comuni Bonus casa: Ristrutturazioni al 50%, Ecobonus ordinario fino al 65%, Bonus barriere architettoniche al 75% e Bonus verde al 36%.

Resta anche il mutuo prima casa garantito per i giovani under 36 (esteso anche alle famiglie numerose con requisito ISEE),  mentre sulle altre agevolazioni del pacchetto prima casa (esenzioni d’imposta, ecc.) non è prevista la proroga.

Si conferma, potenziato, anche il Bonus asilo nido concesso per la nascita di un figlio: nel 2024 è concesso in misura maggiore alle famiglie che hanno un minore under 10 e un ISEE fino a 40mila euro (il contributo arriva fino a 3600 euro).

In linea generale, la Manovra 2024 riflette un approccio prudente del Governo, che non si sbilancia nelle misure potendo contare su risorse economiche limitate.

Medico Cercasi

Diversi gli spunti e le riflessioni che sono emerse dall'incontro pubblico dello scorso 24 febbraio sulla ormai cronica assistenza sanitaria. 

La presenza in video del neoconsigliere Regionale Michele Schiavi e di sindaci e assessori del territorio dell'Isola, hanno contribuito, portando le loro esperienze su questo annoso problema di cui tutti amministratori e amministrati si trovano ad affrontare. Un futuro ancora tutto da realizzare che lascia sconcerto e perplessità, in particolare nelle  fasce più deboli della nostra società. 

Se sei interessato abbiamo registrato la serata  e la puoi vedere sul Link https://mega.nz/file/jFIXka7T#UdvjAJgd3vWTCwhVKMI1H1x8YJC45oR6DVshUrJMLRw

Si e svolta la serata dal tema Medici cercasi, se vuoi vederla scarica questo link. https://mega.nz/file/jFIXka7T#UdvjAJgd3vWTCwhVKMI1H1x8YJC45oR6DVshUrJMLRw

Medico Cercasi

Obiettivo di questo incontro è quello di approfondire le ormai croniche carenze di personale medico, in grado di garantire il servizio sanitario come consolidato nel tempo, per cui abbiamo cercato di analizzare le ragioni che ci hanno portato alla situazione attuale.

Abbiamo quindi pensato di discutere l'argomento in questo incontro pubblico a cui abbiamo dato un titolo emblematico "Medico cercasi".

Cosa prevede la riforma sanitaria? Nel piano della riforma sanitaria troviamo le Case della Comunità, le quali possono configurarsi come luogo di innovazione dell'assistenza territoriale tramite modelli di assistenza raggruppata in luoghi forniti di adeguate strutture tecniche in cui l'assistito possa trovare delle risposte integrate senza dover necessariamente ricorrere alle strutture ospedaliere.

Senza dubbio un piano interessante sulla carta, peccato che seppur sufficientemente finanziato così come previsto nel piano PNRR, il passo dal dire al fare sia ancora ben lontano dall'essere realizzato a breve.

E nel frattempo? Caos, medici di nuova generazione scaraventati nel sistema per sopperire ad una carenza organica per raggiunti limiti di età. Il carico di lavoro dei medici di prossimità viene aumentato per effetto di un'insufficiente programmazione, senza quei supporti tecnici che l'aumento degli assistiti e dei loro bisogni sanitari richiederebbe.

Proposta di programma

  • Il presidente di Isola Bene Comune, presenta il tema della serata e i relatori e la traccia
  • Carlandrea Andreoni, descriverà la situazione attuale in relazione alla carenza dei medici di medicina generale.
  • Il presidente passa la parola al dottor Giuseppe Manzoni al quale spetta il compito di illustrare la sua esperienza quarantennale di medico di famiglia e dare una sua valutazione rispetto alla situazione attuale
  • Seguirà l'intervento del Dottor Vincenzo Ansanelli, al quale spetta il compito di introdurre le difficoltà organizzative di un medico in attività che ha visto avviare la riforma, orfana di alcuni passaggi importanti e di sostanza per la professione medica, dove per esercitare il ruolo di medico si deve confrontare con le nuove proposte teorizzate dalla politica la quale teorizza le case di comunità come panacea di tutte le problematiche del sistema sanitario e che proporrà la sua idea di riforma.
  • Come ultimo intervento il Dottor Ivan Carrara rappresentante dell'associazione medica "Roberto Stella" illustrerà le difficoltà incontrate dai nuovi medici che iniziano l'attività come medico di base ed esporrà il punto di vista della nuova generazione di medici.

L'incontro si concluderà con la stesura di un documento di sintesi con idee, spunti e proposte da inoltrare alla politica.#


Assemblea Straordinaria

Ponte San Pietro, lì 24 Gen. 23

Ai soci di ISOLA BENE COMUNE

Le S.V. e convocata all'Assemblea Straordinaria dell'associazione Isola Bene Comune indetta in presenza il giorno 03 febbraio 2023 in prima convocazione alle ore 09 del giorno 03:02:23. In seconda Convocazione alle ore 21,00, del giorno 03: Febbraio: 2023, presso Pizzeria Garden Via Vittorio Veneto 62 Brembate, per l'approvazione dei seguenti punti

ORDINE DEL GIORNO

1) Modifica statuto da A.P.S. in E.T.S

2) Vari ed eventuali

Così come stabilito dallo statuto in essere all'art.8.13 lettera A. le modifiche dello statuto sono approvate con la presenza dei ¾ dei soci e con decisioni deliberate dalla maggioranza dei presenti. Ogni socio può essere portatore di una sola delega.

Vista l'importanza dei punti all'ordine del giorno si chiede la partecipazione in presenza per non far mancare le vostre proposte e/o osservazioni senza interruzioni di natura tecnica. In attesa della riunione vi auguro una buona e proficua giornata.

Allegati: Copia Vecchio e nuovo Statuto, Modello di delega

Il Presidente

Pompilio Del Prato

Riflessione sulle scelte politiche

di Alfredo Canavero Università statale-Mi

All'Assemblea Costituente un intenso dibattito portò ad inserire nella costituzione della Repubblica italiana l'articolo 49 che dava rilievo ai partiti politici. L'articolo, molto breve, diceva infatti: «Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». Fino ad allora nessuna costituzione aveva ritenuto di doversi interessare dei partiti. Era, in qualche modo, il segnale del passaggio da una tutela costituzionale dei singoli nei confronti dello stato alla tutela dei cittadini associati fra di loro per determinare la politica nazionale. La discussione chiarì che il metodo democratico doveva essere non solo nei confronti degli altri partiti (era ancora viva la memoria dei soprusi fascisti nei confronti delle opposizioni popolari e socialiste), ma anche per quanto riguardava la conduzione dei singoli partiti. Partiti, dunque, organizzati su base democratica per concorrere, democraticamente, con altri partiti per indirizzare la politica del paese. Ci si può chiedere, oggi, quanto quel principio sia rispettato all'interno dei partiti. Non parliamo tanto dei partiti che dal 1992 sono nati e sono fioriti su base personalistica, legati alla figura di un capo carismatico, senza tutti quegli strumenti che erano presenti nei grandi partiti storici: sezioni, congressi a vari livelli, organismi direttivi eletti dal basso etc. Cosa rimane oggi del metodo democratico, anche in un partito, come il PD, che ha quel termine nella sua ragione sociale? Quanto può incidere la base nei momenti delle scelte? Metodo democratico vorrebbe che gli organismi fossero elettivi e tenessero conto dell'opinione dei loro iscritti, rendendo così contendibile ogni carica interna. Invece, a ogni elezione abbiamo assistito all'arrivo di candidati "paracadutati" in collegi ritenuti sicuri, a scapito dei possibili candidati locali. Attraverso norme ben studiate si è ridotto sempre di più il peso delle sezioni-circoli, là dove ancora si fa politica perché lo si ritiene giusto, per dare risposte ai cittadini e non per interessi personali o di piccoli gruppi di potere. A nessuno dei grandi capi corrente è parso opportuno riflettere che anche questo spiega il progressivo allontanarsi delle masse dalla politica? Se non si dà ascolto ai bisogni dei cittadini, ma si rincorrono solo i sondaggi, si può essere certi di non andare da nessuna parte. Eppure il PD aveva inaugurato, con le cosiddette elezioni primarie, un metodo innovativo per la tradizione italiana. Si pensi alla grande mobilitazione ottenuta nelle diverse occasioni in cui si sono tenute. Certamente da sole le primarie non basterebbero. Occorre anche restituire voce alla base del partito, invertendo il processo per cui le decisioni calano dall'alto e non salgono invece dal basso. Ora che si avvicinano le elezioni per la Regione Lombardia non si vorrebbe assistere al solito spettacolo di scelte prese dai vertici, che, come una trentennale esperienza insegna, portano solo a ripetute sconfitte.  

Provincia da ripristinare

Leco di bergamo 18 ott. '22

li ex presidenti: «Province da ripensare, riforma sbagliata. Il voto torni ai cittadini»

Il dibattito Gafforelli: «Pesante il taglio dei dipendenti». Rossi: «Semplificare? Si ragioni su Ato, Bim, Bonifica» Borra: «L'elezione crea legame col territorio». Bettoni: «Nel capoluogo il 10% di abitanti, chi rappresenta gli altri?»

fausta morandi

Le Province arrancano? Non è colpa loro, è la convinzione praticamente corale di coloro che in passato, prima dell'attuale presidente Pasquale Gandolfi, si sono seduti alla guida di Via Tasso. Le cause delle criticità sono individuate nella riforma Delrio (anno 2014), che nel tempo ha mostrato diversi limiti soprattutto per le Province più grandi, e nelle scelte economiche che hanno «svuotato» questi enti dal punto di vista delle risorse. A riaccendere i riflettori sulla questione sono state nei giorni scorsi le parole del governatore Attilio Fontana, che ha parlato di Province in difficoltà, da riportare «alla più ampia funzionalità».

«Non funzionano? Non certo per colpa loro, ma per via di una legge infausta - dice Gianfranco Gafforelli, alla guida della Provincia dal 2018 fino a un anno fa -. Bisogna tornare all'elezione diretta del presidente, e mettere gli enti in condizione di avere autonomia finanziaria».

La carenza di personale

Altro nodo critico è quello del personale, sostanzialmente dimezzato proprio a seguito della Delrio: «I dipendenti fanno i miracoli - aggiunge Gafforelli - ma qualche lacuna organizzativa spunta sempre, e non certo per disinteresse: non c'è concretamente la possibilità di fare di più. C'è davvero poco di salvabile in quella legge: pensavano forse di risolvere i problemi economici del Paese non pagando più presidenti e assessori provinciali? Non mi pare che sia andata così. E chi lavora va pagato». Quello dell'indennità del presidente è tra l'altro uno dei punti della Delrio su cui nel frattempo le cose sono cambiate: dal 2020 è stata reintrodotta, mentre gratuito resta il lavoro dei consiglieri, inclusi quelli che assumono delle deleghe. E se qualcosa va modificato negli assetti, per Gafforelli «si potrebbe pensare di chiudere e accorpare le Province con meno di centomila abitanti: quelle sì che hanno poco senso. Ma le più grandi hanno bisogno di esserci e di poter mettere in campo un'organizzazione seria, strutturata».

Il primo a trovarsi tra le mani la gestione delle Province «light» (diciamo così) è stato, nel 2014, Matteo Rossi, che cerca di coglierne anche le opportunità: «Il dato positivo di quella stagione - osserva - è lo sforzo di fare dell'ente uno strumento di collaborazione tra i Comuni: la sinergia tra le pubbliche amministrazioni trova qui una cornice politica». Le criticità sono legate invece «ai calcoli sballati dell'allora governo Renzi sui fondi tagliati, 3 miliardi in tutto, e al conflitto tra Stato e Regioni rispetto al finanziamento di alcune funzioni delegate. Certe cose sono state poi risolte, come il rimborso delle spese dei Comuni per gli assistenti educatori delle scuole superiori e l'aumento dei dipendenti dei Centri per l'impiego. Resta invece aperta la questione del finanziamento del trasporto pubblico locale». E, in generale, delle entrate delle Province, oggi «appese» principalmente a Ipt e Rc auto (con conseguenti buchi causati quest'anno dalla crisi del mercato automobilistico): «Finché si dipende dallo Stato, in momenti come questo, in cui diminuiscono gli introiti, i conti non tornano - osserva Rossi -. Il tema centrale è l'autonomia fiscale, che passi dal lasciare una quota di Iva sul territorio, dalla restituzione automatica degli introiti di immatricolazione delle auto, o dai canoni idrici (questi ultimi in capo alla Regione)».

L'auspicio di Rossi è che ora «si faccia un tagliando alla legge Delrio, una volta per tutte, sul piano istituzionale ed economico. E che sia l'occasione di una vera semplificazione del sistema: già a suo tempo, nelle discussioni con l'allora governatore Roberto Maroni, si era parlato della possibilità che realtà come Ato, Consorzi Bim, Consorzio di bonifica, venissero assorbite tra le funzioni della Provincia, semplificando il livello amministrativo territoriale».

Proprio nei mesi scorsi è stata stilata una bozza di riforma del Testo unico degli enti locali per rivedere in parte l'assetto delle Province. Quel testo però, nonostante più volte annunciato dalla titolare del Viminale Luciana Lamorgese, non è mai sbarcato in Consiglio dei ministri: ora toccherà eventualmente al nuovo governo. Pare che tra i fronti di discussione aperti ci fosse la modalità di elezione degli amministratori provinciali (oggi a votare non sono tutti i cittadini, ma solo sindaci e consiglieri comunali).

«Né carne né pesce»

È convinto dell'importanza dell'elezione diretta Giancarlo Borra, che della Provincia è stato presidente nei primi Anni '80: «Nella mia attività politica, è stato il momento più bello - ricorda -. L'impegno che si profondeva, con i membri di Giunta e Consiglio, portava frutti concreti: strade, scuole... Si aveva la sensazione di fare qualcosa di utile per la comunità bergamasca. L'elezione diretta dà maggior significato al ruolo, obbliga a impegnarsi per offrire risposte ai cittadini». Al contrario, «tutto ciò che crea distacco tra la popolazione e le istituzioni non va bene. Basti pensare alle ultime elezioni politiche: secondo me è sbagliato non rapportare il candidato direttamente al suo territorio. Quando ho fatto io il parlamentare c'erano le preferenze: questo creava un legame molto forte». Mentre questa situazione, in cui le Province sembrano «né carne né pesce, le ha rese parzialmente inutili. Io resto convinto che un livello intermedio locale possa servire, ma deve avere dignità tecnica e politica».

Una marcia indietro alla situazione pre-Delrio, senza nemmeno ulteriori passaggi legislativi: è lo scenario prefigurato da Giovanni Cappelluzzo, al timone di Via Tasso dal '95 al '99.

La «Regione autonoma»

«La riforma - dice - è stata l'anticipazione anomala di una revisione costituzionale che poi non c'è stata, visto che è stata bocciata dal referendum. A quel punto si sarebbe dovuti tornare in modo automatico alla situazione precedente. La Provincia come ente non è stata abolita: lo è stata l'elezione popolare degli organi di governo. E non se ne comprende la ragione: perché un ente territoriale, locale, che ha la dignità di Comuni e Regione, non deve essere eletto direttamente dal popolo?».

Da presidente, Cappelluzzo (con l'allora collega bresciano Andrea Lepidi) aveva anche promosso l'idea di una di una nuova «Regione autonoma della Lombardia orientale», che includesse Bergamo e Brescia. E rimane tuttora convinto della necessità di un ripensamento più ampio dei livelli di governo intermedi: «Il Molise è una Regione con 400mila abitanti, le Province di Bergamo e Brescia ne hanno oltre un milione ciascuna. In questo contesto, parlare di Province e Regioni in sé ha poco senso. Si potrebbe pensare di unire questi livelli, impostando dei "dipartimenti": la Lombardia potrebbe averne due o tre. Purtroppo oggi, per le questioni gravi ed emergenziali che stiamo attraversando a livello mondiale, è difficile che si parli di questi temi». Nel frattempo «il minimo rimane tornare alla situazione pre-Delrio: per me la riforma non ha base di legittimità».

È stato presidente della Provincia per dieci anni, dal 1999 al 2009, Valerio Bettoni. E nel parlarne si infervora come fosse ieri: «Sono molto arrabbiato per quello che è accaduto con la legge del 2014. Le Autonomie sono fondamentali per garantire la partecipazione dei cittadini. Non c'è niente da salvare in questa riforma, è stata una iattura e anche una delle cause delle grandi difficoltà di questo Paese, che non riesce più a fare e programmare opere».

Bettoni evidenzia poi che «le grandi città vogliono fare le aree metropolitane, ma in Italia solo in pochi casi hanno davvero senso. Da noi il capoluogo ha il 10% degli abitanti... Tutti gli altri chi li rappresenta? In una realtà come Lombardia, con 10 milioni abitanti e tanti piccoli Comuni, occorre un rapporto stretto con i territori». E se anche nei costi e nel funzionamento delle Province si fossero evidenziate nel tempo delle criticità, «non si butta via il bambino con l'acqua sporca- conclude Bettoni -. Si prova a capire dove intervenire per migliorare le cose».



Unione energetica, questa sconosciuta. De Blasio (Harvard) su Germania e Ue

Di Otto Lanzavecchia | 30/09/2022 - Esteri

Accordo in Ue sulle misure di emergenza, ma non sul price cap: ieri la Germania ha preferito imporlo a livello nazionale. Secondo l'esperto del Belfer Center è l'ennesima dimostrazione dell'incapacità dei Paesi europei di collaborare. La prima causa della crisi energetica oggi e il tallone d'Achille della transizione domani

Il carbone ha fatto l'Europa, il gas la sta frantumando. Venerdì i ministri europei si sono riuniti per far fronte alla crisi energetica - aggravata dal sabotaggio dei gasdotti nel Mar Baltico - che attanaglia il continente. Ma come le riunioni precedenti, anche questa non ha prodotto i risultati sperati. I Ventisette hanno raggiunto un accordo politico su una serie di proposte (riduzione dei consumi, un massimale sui ricavi di alcuni produttori e recupero degli extraprofitti generati dal settore dei combustibili fossili) ma non sul tetto al prezzo del gas.

Il price cap per contenere le "insostenibili pressioni inflazionistiche" era la richiesta fondamentale dell'Italia e altri quattordici Paesi, messa per iscritto in una lettera mercoledì e indirizzata alla Commissione europea. Che però non l'ha presa in considerazione, a causa dell'opposizione di altri Stati. Prima tra tutti la Germania, che giusto ieri ha presentato una versione nazionale del tetto al prezzo del gas, da coprire con 200 miliardi di euro a debito.

La mossa tedesca ha suscitato l'ira del premier italiano, Mario Draghi, che chiede l'imposizione di un tetto al prezzo europeo da marzo. "Davanti alle minacce comuni dei nostri tempi, non possiamo dividerci a seconda dello spazio nei nostri bilanci nazionali", ha chiosato invocando l'unità europea. Gli ha fatto eco la possibile prossima premier, Giorgia Meloni: "nessuno Stato membro può offrire soluzioni efficaci e a lungo termine da solo, in assenza di una strategia comune. Neppure quelli che appaiono meno vulnerabili sul piano finanziario".

Raggiunto da Formiche.net, Nicola De Blasio - Senior Fellow del Belfer Center, think tank di Harvard, a capo della divisione di ricerca su energia e transizione - ha concordato con l'obiezione di Draghi. "Invece di dare una risposta comune, alcuni Stati membri stanno creando distorsioni di mercato. Distorsioni che ovviamente favoriranno le loro aziende a scapito di altri Paesi, come l'Italia, che non hanno le stesse possibilità di emettere nuovo debito".

Ancora una volta, ha commentato l'esperto, la comunità europea perde un'occasione di dimostrarsi unita e sfoggia un'estrema lentezza nel reagire alle crisi. Ma la scelta tedesca di andare avanti in solitaria ha ripercussioni pesanti sulle fondamenta del progetto Ue. "Sarà interessante capire se nell'eventuale momento di bisogno" - qualora Berlino non riuscisse a soddisfare la domanda energetica interna, come evidenziato dal caso Nord Stream - "questi stessi Paesi invocheranno o meno il principio di solidarietà". Difficile che gli altri Stati membri reagiscano con benevolenza. E occorre considerare le conseguenze di questo approccio sulla sfida ben più complessa della transizione.

La guerra in Ucraina, ha proseguito De Blasio, "sta portando alla luce una serie di questioni che la comunità europea, ma anche noi come cittadini e consumatori, abbiamo sempre cercato di ignorare". Primo: "la transizione energetica è fondamentale non solo dal punto di vista climatico, ma anche di sicurezza energetica". Secondo, "modificare o costruire nuovi sistemi energetici richiede tempo e tutte le soluzioni tecnologiche devono essere parte della soluzione. Questa transizione ha un costo, ma una seria collaborazione a livello europeo permetterebbe di avere delle efficienze di sistema che i singoli Paesi membri non potrebbero mai avere da soli.

Tutto questo andrebbe attuato ora, ha avvertito l'esperto, al fine di evitare gli errori e le inefficienze del passato. Ma ancora una volta le considerazioni e gli interessi di breve termine hanno prevalso su una visione di lungo periodo che aiuterebbe tutti. "In un momento in cui tutti parlano di idrogeno verde, sarebbe opportuno ricordarsi di tutto questo. La crisi energetica che stiamo affrontando è la conseguenza della passata incapacità dei Paesi membri e della comunità di avere una visione comune. Lo abbiamo visto con la pandemia e lo vediamo ora: quante altre crisi saranno necessarie?".



ELETT ORIC ERCASI

Di Salvatore Zecchini | 22/08/2022

I partiti che hanno esposto i propri programmi e si stanno impegnando in veri tour de force per convincere un elettorato disilluso e disincantato della bontà dei loro propositi. Ma attenzione a cosa si può fare e cosa invece è destinato a rimanere nel libro dei sogni. L'analisi di Salvatore Zecchini

Il Paese sta entrando nel vivo della campagna elettorale con i partiti che hanno esposto i propri programmi e si stanno impegnando in veri tour de force per convincere un elettorato disilluso e disincantato della bontà dei loro propositi e di come si prenderanno cura delle esigenze dei cittadini, in quanto individui, famiglie, imprese e comunità nazionale nel suo insieme. La fatica è immane per tanti motivi, non ultimo il periodo estivo vacanziero, ma soprattutto per dover convincere gli indecisi ed i delusi, che rappresentano una rilevante fetta dell'elettorato e al momento del voto con tutta probabilità decidono di astenersi. La loro incidenza a un mese dalle votazioni ha raggiunto il 40% circa, secondo i sondaggi, ed appare in linea con la tendenza affermatasi da più di quaranta anni.

L'astensionismo è aumentato continuamente dalla fine degli anni 70, arrivando a raggiungere alle "politiche" del 2018 il 27% degli elettori, ma alle recenti comunali è salito al 43%, una dimensione tale da mettere in dubbio la rappresentatività degli eletti come espressione del sentire della popolazione. Disillusione, scarsa fiducia nel mondo politico e nelle istituzioni, disinteresse se non è in gioco un rilevante vantaggio o svantaggio per il votante, l'appartenenza agli strati sociali meno abbienti e anche l'insufficiente livello d'istruzione, che rende difficile comprendere l'importanza della scelta di una politica piuttosto che di un'altra, sono tutti fattori che incidono.

In alcuni elettori prevale la considerazione che qual che sia il loro voto e la forza politica sostenuta ben poco cambierà nella conduzione del Paese. Vi è anche una componente regionale: nel Mezzogiorno, area peraltro a reddito pro-capite meno elevato che al Centro e al Nord, l'astensionismo risulta relativamente più intenso. La sfiducia nei partiti politici ha un peso rilevante. Da un'indagine di Eurobarometer per le istituzioni europee, condotta tra marzo e aprile dell'anno in corso, risulta che il 63% degli italiani ritiene che la corruzione (ovvero, tangenti ed abusi di potere) sia diffusa tra i partiti politici, una percentuale superiore alla media europea (58%).

Istat va oltre nella sua indagine per esplorare il grado di fiducia dei cittadini nella classe politica e nel Parlamento. In un sondaggio pubblicato recentemente rileva che soltanto un quinto dei cittadini nutre fiducia nei partiti politici, il livello più basso tra le istituzioni del Paese, con poco meno di un quarto che esprime sfiducia. Va meglio per il Parlamento, in cui confida il 39,3% degli intervistati, percentuale nondimeno inferiore a quella dei fiduciosi nel Parlamento Europeo (41,6%).

Contribuiscono alla fiducia nei partiti diversi fattori, tra cui vanno annoverati i programmi elettorali e la loro realizzazione una volta al governo. L'ascesa dell'astensionismo può essere vista anche come la risposta dell'elettorato alla mancanza di accountability dei partiti o degli uomini politici rispetto agli impegni presi con i loro programmi elettorali. Oppure può essere il risultato della considerazione che al di là dei programmi le coalizioni di governo comporteranno compromessi col risultato che l'attuazione dei programmi elettorali risulterà limitata. Pertanto, si vota per il partito ideologicamente preferito (e non per il programma), oppure non si vota affatto.

La letteratura internazionale sul grado di responsabilizzazione degli eletti (accountability) verso gli elettori e la possibile reazione di questi ultimi al mancato adempimento delle promesse elettorali è numerosa e le verifiche empiriche condotte con i dati di alcuni paesi suffragano le tesi sulla diversa capacità degli elettori di condizionare l'operato politico degli eletti. Le generalizzazioni di queste tesi, tuttavia, non sono possibili, perché la validità delle verifiche empiriche è limitata al particolare contesto sociopolitico esistente nel paese su cui si dispone di dati adeguati.

Per l'Italia, da un'indagine di Ipsos del 25 luglio scorso risulta che solo il 18% degli intervistati sceglie il partito per il programma che propone, laddove la quota maggiore, che peraltro non supera il 23%, basa la sua scelta sulla capacità mostrata dal partito nel curarsi dei problemi reali della gente. Seguono con quote molto prossime alla prima la fede nel partito di appartenenza (22%), il grado di onestà mostrato (21%) e la fiducia che ispira (19%). L'attenzione a curare l'interesse collettivo rileva solo per una parte minore dei partecipanti al sondaggio, il 16%, segno di una caratteristica storica degli italiani nell'anteporre all'interesse generale del Paese, in quanto tale, quelli del particolare, sia esso l'individuo, la famiglia, il partito, o il gruppo d'appartenenza.

Ad ogni modo, come valutare i programmi dei principali raggruppamenti politici? Colpiscono, innanzitutto, la verbosità, la reiterazione di propositi già visti in precedenti tornate elettorali, lo sbandierare grandi impegni di promozione dell'occupazione, di espansione dell'economia, di tutela dei diritti dei cittadini, di riforma senza entrare nei dettagli, salvo precisare poche proposte puntuali su cui attrarre l'attenzione e il sostegno degli elettori. In maggioranza non si indicano gli strumenti da usare, i costi, i tempi di attuazione e la fattibilità stessa delle proposte, né quali vincoli sono da superare.

Se si dovessero attuare tutte le promesse fatte, occorrerebbe più di un decennio di interventi e cambiamenti, una consistente disponibilità di risorse non vincolate a obblighi preesistenti e una straordinaria capacità del Parlamento e della Pubblica Amministrazione di portarli a compimento. Quindi i programmi presentati hanno il sapore di libro dei sogni o meglio delle aspirazioni, che solo in piccola parte si potranno realizzare.

I temi economici sono in primo piano nei programmi dei tre principali raggruppamenti politici, benché declinati in modo differente quanto alle misure e alle priorità, ma sempre viste in rapporto all'attuazione del Pnrr che rimane come programma base, seppure passibile di aggiustamenti. Le proposte chiave per l'economia ruotano attorno a fisco, lavoro ed impresa, transizione ecologica ed infrastrutture.
Sul fisco lo spettro delle misure va da un estremo di riduzione della pressione fiscale su imprese e famiglie all'altro estremo di incremento dei prelievi sui redditi e sulla spesa.

In Italia la pressione del fisco è in ascesa negli ultimi anni e si colloca tra le più elevate nell'Ue e sopra la media europea (43,5% contro 41,9% area euro senza Italia). Un ulteriore aggravamento, benché con finalità ridistributive a favore dei percettori di redditi medi e bassi e verso i meno abbienti, trascura completamente l'attuale notevole spostamento del carico fiscale su un gruppo minoritario di contribuenti dalla relativamente maggiore capacità fiscale.

Non si considera, in particolare, né l'impatto di questo sbilanciamento, né la difficoltà di individuare il gruppo da favorire se si fa riferimento, come avviene, ai redditi e beni accertati. In specie, il sistema impositivo italiano è composto anche da un'intricata trama di esenzioni, detrazioni d'imposta, deduzioni, franchigie, privilegi, addizionali, diritti d'imposta, contributi figurativi sul lavoro, patrimoniali e tasse locali, trama che, insieme all'evasione fiscale, fa sensibilmente divergere la distribuzione effettiva del carico fiscale rispetto a quella risultante dalle fonti ufficiali.

Si dimentica anche che l'effetto ridistributivo attualmente è ottenuto anche manovrando la leva della spesa pubblica, del welfare, e delle prestazioni in natura. Il reddito di cittadinanza, la pensione di cittadinanza, gli svariati bonus accordati a singoli gruppi, oltre ad avere effetti distorsivi sulla propensione al lavoro e sugli equilibri nel mercato del lavoro, prospetta un quadro dei beneficiari parzialmente differente da quello dei meno abbienti derivabile dalle analisi della povertà o dalle dichiarazioni dei redditi. Sono altresì misure che contrastano con l'obiettivo di promuovere una società attiva, mentre ne alimentano una di "inattivi", particolarmente nefasta in un periodo di declino demografico.

Un ulteriore incremento della tassazione, inoltre, si ripercuote negativamente sulla redditività degli investimenti e sulla propensione a investire delle imprese, che sta a fondamento della crescita e dell'avanzamento della produttività. Le misure a favore dell'occupazione sono una costante di tutti i programmi, spaziando tra incentivi, assunzioni massicce nel settore pubblico, temporanee esenzioni contributive per le nuove assunzioni ed integrazioni al reddito da lavoro. Si mostra molto interesse per l'introduzione del salario minimo, che tuttavia interessa solo una frangia di lavoratori, posto che nei contratti collettivi sono già definiti i minimi contrattuali da rispettare.

La riduzione del cuneo contributivo è un'altra misura ricorrente, ma in un programma si arriva a legarlo all'assorbimento di occupazione da parte dell'impresa, senza considerare che intensificando il rapporto lavoro/capitale si disincentiva l'investimento in nuove tecnologie e si favorisce un modello di produzione obsoleto. Non si parla, invece, del problema della carenza di competenze, che frena lo sviluppo delle imprese, del modo di potenziare la formazione, della ristrutturazione del salario per ampliare la quota legata alla produttività, di differenziare le retribuzioni in relazione alle competenze, né delle rigidità nell'impiego del lavoro. Gli interventi per il lavoro sono pertanto impostati in chiave di welfare e non di rilancio della produttività e del merito.

L'impresa e il rinnovo del sistema produttivo trova spazio nel programma di una sola formazione politica, inquadrato nel contesto della politica industriale e della crescita dimensionale dell'impresa. Il riferimento cardine è al piano Industria 4.0 e a quello Transizione 4.0. Altre forze sottovalutano il tema, lo ridimensionano nell'ambito della transizione ecologica, come se questa potesse essere il principale motore della crescita dell'economia nei prossimi anni. Si dimentica che le economie avanzate si trovano nel mezzo di una grande rivoluzione industriale guidata dalle nuove tecnologie, che hanno iniziato a sovvertire modelli di R&S, produzione, approccio al mercato, concorrenza, e competitività. Tacere su questi aspetti denuncia un vuoto di politiche e di strategia, che può costare caro allo sviluppo del Paese. Sull'avanzamento della concorrenza solo un programma ne parla e ne sollecita il completamento secondo le direttrici del Pnrr.

Le misure per la transizione ecologica e il settore dell'energia sono affrontate in tutti i programmi, ma nella loro maggioranza sono considerate in chiave di welfare, di bonus e sollievo dei costi per famiglie ed imprese colpite dai notevoli rincari, misure queste di breve effetto ma utili per raccogliere consensi. Soltanto un programma prospetta un insieme di interventi di politica industriale, che toccano al tempo stesso il raggiungimento dell'autonomia dalle forniture della Russia, il nuovo nucleare, l'efficienza energetica, l'espansione delle rinnovabili, la riduzione delle emissioni di CO2, e l'efficientamento del sistema dei trasporti di merci e di persone.

Il sorvolare di altri su questo tema di assetto dei sistemi energetico ed ambientale può essere segnale di incertezze e contrasti all'interno dei raggruppamenti politici, oppure di assenza di una visione sistemica da tradurre in piano d'intervento. Il tema si interseca con quello del potenziamento delle infrastrutture, ma qui il riferimento è a quanto già previsto dal Pnrr e a quanto richiesto per ottenere un miglior funzionamento dei mercati energetici ed ambientali.

Grandi assenti nei programmi sono alcuni temi di cruciale importanza. In particolare, si nota l'assenza di indicazioni sul problema dell'eccesso di spesa pubblica e la necessità di un suo contenimento, sul reperimento delle entrate necessarie a coprire tutte le elargizioni promesse, sul modo di riportare il debito pubblico su posizioni sostenibili, evitando di continuare a essere ostaggio dei mercati finanziari e delle istituzioni comunitarie, sul sostegno della competitività delle produzioni italiane, e sulla promozione del rinnovamento tecnologico e dell'imprenditoria.

L'attenzione è, invece, concentrata sul lato della domanda, sul sostegno ai redditi e sulla spesa, piuttosto che sul lato dell'offerta, del sistema produttivo, del riposizionamento del lavoro nel quadro delle nuove tecnologie. Forse si crede che la spinta alla domanda stimolerà gli investimenti e non rifluirà a vantaggio delle importazioni, ovvero dei produttori esteri, come già avvenuto.
Di fronte a queste scelte è confortante che l'unico ancoraggio sicuro sia dato dal vincolo posto dall'attuazione del Pnrr e dalla sorveglianza europea sulla sua completa e puntuale esecuzione.

Legati? Salvini e la Russia, tempo di chiarimenti. Scrive Di Gianfranco Polillo | 01/08/2022 -

Esiste un accordo scritto siglato da un partito politico italiano, la Lega, con un partito straniero, Russia Unita. Un accordo destinato a rinnovarsi tacitamente ogni cinque anni a meno che una delle due parti non lo faccia terminare entro sei mesi dalla scadenza. Non risulta che la Lega l'abbia fatto valere, per cui l'accordo è stato rinnovato per altri 5 anni. Nuova scadenza: 2027

Sarà quel che sarà. Al momento è difficile scrivere l'epilogo di una storia - la guerra ibrida di Mosca contro l'Italia - che ha troppi punti oscuri. Gli indizi ci sono tutti. Forse sono addirittura troppi. Quel che manca è ovviamente la certezza di un intervento a gamba tesa, volto a condizionare il voto degli italiani, per imporre quella svolta che Putin non solo sogna, ma ha più volte teorizzato.

Una cosa tuttavia gli elettori possono, anzi devono, pretendere: sapere esattamente da che parte stanno i singoli protagonisti della vicenda politica italiana. Conoscere in anticipo se, con il loro voto, l'asse della politica estera italiana si sposterà verso Washington e Bruxelles oppure verso Mosca e Pechino. E per capirlo devono pretendere un'assoluta limpidezza. Che escluda ogni indeterminatezza o furbesco ecumenismo. O peggio ancora l'alibi di un possibile cerchiobottismo.

Troppa intransigenza? Il fatto è che conosciamo i nostri polli. Nel vecchio contratto che segnò la nascita del governo gialloverde, a firma Salvini-Di Maio, si confermava "l'appartenenza" dell'Italia "all'Alleanza atlantica, con gli Stati Uniti d'America quale alleato privilegiato, ma con una apertura alla Russia, da percepirsi non come una minaccia ma quale partner economico e commerciale potenzialmente sempre più rilevante".

"A tal proposito, - si auspicava - è opportuno il ritiro delle sanzioni imposte alla Russia, da riabilitarsi come interlocutore strategico al fine della risoluzione delle crisi regionali (Siria, Libia, Yemen)... Non costituendo la Russia una minaccia militare, ma un potenziale partner per la Nato e per l'Ue, ... nel Mediterraneo" dove "si addensano più fattori di instabilità quali: estremismo islamico, flussi migratori incontrollati, con conseguenti tensioni tra le potenze regionali".

Di Giorgia Meloni non dubitiamo, per motivi diversi. Nel bene e nel male conosciamo il suo retroterra culturale. E dello stesso mussolinismo, più che del fascismo, gli scritti di Renzo De Felice, nella sua monumentale opera per Einaudi (significherà qualcosa?), hanno messo in chiaro il gioco delle luci e delle ombre. Sono invece gli altri che ci danno da pensare.

Il vitalismo (passato) di Silvio Berlusconi. Quell'idea del "ghe pensi mi"" che per troppo tempo è stata la cifra più apparente che reale del suo modo di governare. E che non ha poi prodotto i risultati sperati. Compreso il tentativo di addomesticare Putin. Finito nel momento in cui la grande crisi - quella dei subprime - aveva cambiato il vento che, negli anni passati, aveva gonfiato le vele della modernizzazione russa.

Per non parlare poi, non tanto della Lega, quanto di Matteo Salvini. La creatura di Umberto Bossi, aveva un radicamento territoriale, che ne restringeva gli orizzonti politici e culturali. Per il senatur contavano solo gli interessi del nord. Da difendere in un modo che più corporativo non si poteva. Anche se alcuni (Claudio Gatti) vedevano in quella prospettiva, a metà strada tra federalismo e secessionismo, una debolezza dottrinaria intollerabile. Possibile preda delle alchimie di una nuova destra arrembante, dai forti legami internazionali.

Ma con Salvini la musica era cambiata. Quella vecchia cultura da strapaese (la corrente letteraria anni '20) era stata progressivamente abbandonata in nome di un nazionalismo ("prima gli italiani") che si poneva in obiettivo contrasto con il mondialismo, allora dominante. Da questo punto di vista, la scelta di Salvini era stata per così dire obbligata. Quando era diventato segretario, nel dicembre 2013, la Lega Nord, alle elezioni di febbraio, aveva superato a stento il 4 per cento: sia alla Camera che al Senato. Con il Pdl oltre il 22 per cento.

Da europarlamentare di lungo corso, per oltre 12 anni a Bruxelles, pur non avendo certo brillato per l'impegno profuso, conosceva le regole elementari. Sapeva che la sponda internazionale era importante. Ma i posti che contavano erano già stati occupati. Forza Italia con il Ppe, il Pd con i socialisti. Per non essere fagocitato dall'uomo di Arcore, doveva smarcarsi. Ed ecco allora la ricerca affannosa di un terzo polo: con l'Ukip inglese, il Fronte Nazionale in Francia, il Partito Popolare Danese e Syriza in Grecia. Ma non solo. A fargli da sponda saranno anche i Paesi del gruppo Visegrad: polacchi, cechi, ungheresi e slovacchi. Oggi su posizioni divaricate e completamente diverse.

Il retroterra culturale da uomo del nord lo aveva aiutato. Nel centrodestra italiano, l'Europa era stata sempre vista come una grande matrigna, pronta a punire partite Iva e pensionati baby. Mentre si rinnovavano le accuse sull'eccesso di regolamentazione. Sparare sul pianista, come nei vecchi film western, era quindi popular. Ed ecco allora che l'esigenza di un diverso posizionamento era finito inevitabilmente con il coincidere con chi, da Mosca, vagheggiava, ma soprattutto voleva, una geopolitica completamente diversa, in grado di porre ai margini l'intero Occidente.

Difficile dire se Salvini si sia reso conto, fin dall'inizio, della parte in commedia che gli strateghi del Cremlino avevano deciso di fargli giocare. La rete, che purtroppo non dimentica, è piena delle sue dichiarazioni avventate, che risalgono all'indomani stesso della sua elezione a segretario generale. Tra le prime iniziative, destinate a far scalpore, (dicembre 2014) la costituzione in Parlamento dell'Associazione Amici di Putin. Con l'invito rivolto a tutti i parlamentari a farne parte. Ed il fine di "dare un contributo affinché si chiuda questa stagione di contrasti che non fanno altro che danneggiare la nostra economia, in un momento già di per sé drammatico, causa crisi". Refrain che sarà ripetuto in mille altre occasioni.

Da quel momento in poi inizieranno i grandi viaggi. Destinazione principale i Paesi sotto embargo: Corea del Nord, insieme ad Antonio Razzi. Il deputato transfugo da diversi partiti, sodale di Kim Jong-un (settembre 2014). Quindi la Crimea (ottobre 2016) in compagnia di Claudio D'Amico, parlamentare della Lega, ma soprattutto suo Consigliere strategico per le attività di rilievo internazionale. Ed, infatti, era stato lui ad organizzare, nell'ottobre 2014, il primo incontro con Putin. Viaggi che si ripetettero più volte, fino agli infortuni degli incontri del Metropol Hotel di Mosca (la trattativa per una partita di petrolio) e il successivo viaggio abortito, per avvicinare la pace tra Ucraina e Russia, di qualche mese fa.

Nel frattempo non smetterà mai di tacere. Nel 2015, durante il convegno promosso dall'Associazione Lombardia Russia, presieduta da Gianluca Savoini, l'uomo del Metropol, ("Russia e Crimea, due grandi opportunità per le nostre imprese") si era battuto affinché si fosse riconosciuta l'annessione da parte della Russia della Crimea. E di conseguenza si fosse posto fine alle sanzioni contro l'orso siberiano. Una sorta di ossessione. In passato aveva più volte tuonato: sono costate "oltre 5 miliardi di euro e migliaia di posti di lavoro".

La cifra gli era stata suggerita da Ernesto Ferlenghi, presidente di Confindustria Russia, secondo il quale "dall'introduzione delle sanzioni, le esportazioni italiane in Russia, che nel 2014 avevano raggiunto i 14,5 miliardi di euro erano 'diminuite di un terzo' e del 45 % nei primi tre anni". Ben più circostanziate e meno drammatiche le cifre indicate nell'ultimo Def del governo Draghi. A causa delle sanzioni, nel periodo 2013-2021 (pag. 50), le esportazioni italiane verso la Russia, sarebbero diminuite di 3,075 miliardi di euro; le importazioni di 2,599. Svantaggio ben più contenuto, come saldo netto.

Che comunque l'Italia abbia subito un danno, molto maggiore sarà quello dopo l'intervenuta invasione dell'Ucraina, è del tutto evidente. Le sanzioni rappresentano ciò che nella letteratura anglosassone si chiama "trade off": si subisce un danno oggi per avere un vantaggio domani. Che poi questo domani sia quanto mai incerto, si può anche convenire. Ma qual è l'alternativa? Forse la vecchia idea, messa nero su bianco nel vecchio contratto della maggioranza gialloverde, secondo la quale "la Russia" non avrebbe costituito "una minaccia militare"?

Ma i viaggi verso l'Oriente, uno solo a Washington nella speranza delusa di incontrare Donald Trump, spiegano solo in parte. Fanno da cornice a più intensi lavorii, come quelli che portarono alla firma di un trattato che prevedeva lo scambio di informazioni sull'attualità russa e italiana e "sulle relazioni bilaterali e internazionali", l'organizzazione di convegni e riunioni che coinvolgano i rispettivi parlamentari, e la promozione "attiva" delle relazioni tra i partiti, anche a livello regionale. Quindi la promozione di politiche "giovanili, femminili, culturali e umanitarie", oltre alla cooperazione economica. Tutto molto generico e fin troppo vago. Era il 6 marzo 2017.

In calce, la firma di Matteo Salvini e quella di Sergey Zheleznyak (responsabile esteri di "Russia Unita", il partito di Putin). Un patto, quindi, l'unico caso di un accordo scritto siglato da un partito politico italiano con un partito straniero. Un accordo destinato a rinnovarsi tacitamente ogni cinque anni a meno che una delle due parti "non notifichi all'altra entro e non oltre sei mesi prima della scadenza dell'accordo la sua intenzione alla cessazione dello stesso". Non risulta che la Lega l'abbia fatto valere, per cui l'accordo è stato rinnovato per altri 5 anni. Nuova scadenza: 2027.

Le cose raccontate, tratte con un po' di pazienza dai giacimenti del web, lasciano ben pochi dubbi sull'esistenza di un legame profondo tra Salvini e Putin. Dai loro rapporti traspare una consonanza di idee, ma anche un legame squilibrato. Il partner junior in un grande studio di avvocati. È vero che la Russia, come lo stesso Salvini ama ripetere, è il Paese più esteso del mondo, ma, se è consentito, l'Italia non ha molto da invidiare. Sia in termini di reddito e di sviluppo economico, per non parlare di cultura. Senza nulla togliere alla storia di quella parte del continente euroasiatico.

E allora come si spiega? Ma in larga misura con lo stile stesso di Salvini. Con la sua relativa "modernità": il Capitano non usa le tecniche della rete solo per comunicare. Quel linguaggio, quel modo d'essere, si pensi alla moda delle felpe, é qualcosa di più intimo. A differenza di Giorgia Meloni, tanto per fare un paragone, non ha l'identità che nasce da un vissuto profondo, che si è intrecciato con la storia d'Italia. Un bene o un male? Difficile rispondere. È però il segretario di un partito, seppure di stampo per così dire leninista, per cui, alla lunga, il relativo condizionamento non potrà non farsi sentire.


<

/p>

 Alle radici del caos italiano


Di Francesco Sisci | 29/07/2022 -

Negare l'influenza russa e le ingerenze cinesi sulla politica italiana significa negare la realtà. Ma il caos istituzionale e politico che aleggia nei palazzi romani ha radici più profonde. Il commento di Francesco Sisci

Il sistema politico italiano nasce alla fine della seconda guerra mondiale con pesi e contrappesi per evitare che la vecchia forza dei fascisti e la nuova forza dei comunisti prendano il potere.

Oltre alle misure formali c'erano poi misure informali che cementano la situazione - un veto culturale/politico a allearsi con fascisti e comunisti portandoli al governo. Poi, i partiti di destra e di sinistra erano esclusi dal governo con un accordo informale, e il Paese era governato da un centro massiccio e magmatico, che ruotava attorno alla Democrazia Cristiana (DC).

Con il partito comunista più forte dell'Occidente, dalla fine degli anni '60 l'Italia divenne un campo di battaglia informale della guerra fredda. Il terrorismo rosso e nero minacciava la stabilità del paese. Questo culminò con il rapimento e l'assassinio nel 1978 del politico più potente del paese, il leader della Dc Aldo Moro.

Dopo il rapimento di Moro, negli anni '80, il governo attuò una serie di misure che avrebbero dovuto diminuire lo scontento sociale e eliminare le basi in cui pescava il terrorismo. Roma distribuì soldi a pioggia raddoppiando il deficit di bilancio dello stato.

La distribuzione di benefici sociali effettivamente contribuì a drenare il Paese dalla protesta sociale. Una simile politica era stata usata agli inizi degli anni '60, sempre per limitare le proteste sociali. Allora il deficit venne prosciugato in negli anni '70 in poco tempo attraverso un'inflazione a due cifre e rigorose misure di bilancio.

Forse il governo italiano pensava di ricorrere all'inflazione e a una grande disciplina di bilancio per riportare i conti in ordine negli anni '90. In realtà la fine della guerra fredda nel 1989 è connessa con la fine di fatto di tutti i parametri politici ed economici che avevano retto l'Italia fino a quel momento.

Con la crisi del 1994 le colonne del sistema politico italiano, la DC, il PSI e i partiti minori, crollarono e vennero invece sdoganato i comunisti del PCI. La stessa cosa non accadde completamente per gli eredi del partito fascista, nonostante che anch'essi avevano cambiato nome.

D'altro canto emersero forze politiche nuove, con agende diverse, che raccolsero parti delle eredità passate ma con pulsioni nuove, Forza Italia di Silvio Berlusconi e la Lega di Umberto Bossi. Inoltre l'Italia si accordò per entrare nella moneta unica europea, l'euro. Infine ci fu una riforma elettorale, che avrebbe dovuto dare maggiore governabilità al paese. Tutto ciò avvenne però senza cambiare la Costituzione, pensata invece per affrontare sfide politiche diverse, che a quel punto non esistevano più.

Si creò quindi un insieme di vincoli esterni, con l'Unione europea, e fragilità interne, la mancanza di partiti di continuità di governo ed un mix di paletti istituzionali vecchi, e partiti nuovi. In questo magma nei fatti nessun partito ha avuto la forza politica di affrontare radicalmente il deficit di bilancio e le arretratezze dello stato sociale e burocratico italiano.

Quindi siamo ad oggi. La combinazione di un rapporto debito/Pil arrivato al 150% e tante restrizioni nella libertà di mercato del paese sono un freno enorme per lo sviluppo nazionale. Ci sono rendite di posizione, ciascuna comprensibile e giustificabile che però messe insieme paralizzano il paese.

I monopoli dei piccoli imprenditori sulle spiagge, i tassisti, ma anche i farmacisti, i giornalisti eccetera ciascuno ha una sua ragione, ma tutti insieme paralizzano il Paese. In una situazione di confusione e debolezza strutturale estrema, con un'astensione crescente dal voto, nel 2018 arrivano al potere gli M5s.

Essi non diventano in realtà una forza di governo, ma con la loro insipienza aumentano la enorme confusione nazionale. In tale frangente, nel mezzo del Covid arriva il governo di Mario Draghi l'anno scorso senza passare da un voto popolare. Ciò è possibile perché l'Italia ha appunto un sistema di pesi e contrappesi, e la democrazia è indiretta: il premier è tale non se votato dagli elettori ma se votato dal parlamento. Giusto o meno, occorre una riforma costituzionale per cambiare il sistema.

Intanto in questi trent'anni l'ex Pci ha cambiato nome, ha assorbito parte della ex Dc, e come la Dc di una volta è diventato un partito/sistema, parte dell'amministrazione dello Stato, garantisce la governabilità del Paese. Tale governabilità è minima, e per alcuni è un problema perché non affronta i problemi di fondo accumulati in questi tre decenni. Intanto negli ultimi anni è tornata anche la guerra fredda e la pericolosa influenza di Mosca in Italia.

In tale contesto dire che Mosca ha fatto cadere il governo Draghi significa attribuire un grande successo politico alla Russia. D'altro canto negare l'influenza russa nella politica italiana significa negare la realtà.

Così comincia ad allargarsi un nuovo veto informale politico in Italia su Mosca. Oggi Giorgia Meloni, secondo i sondaggi leader del maggiore partito dopo le elezioni, si muove quindi fra due veti, uno vecchio ma mai del tutto eliminato, quello di essere "neo fascista", e uno nuovo, non suo ma dei suoi alleati, quello di essere filorussi. È un passaggio molto difficile, al di là del numero dei voti raccolti alle urne. Per governare in ciascun Paese contano sia i voti che i veti.

Quindi, con la guerra in Ucraina aperta, con una Italia che chiaramente traballa, con la Russia che si vanta a torto o a ragione di avere fatto cadere il premier inglese, avere tagliato le gambe al presidente francese facendo eleggere una maggioranza parlamentare contraria, con una Germania in stato di confusione, gli Usa mandano la speaker del Congresso Nancy Pelosi a Taiwan irritando la Cina.

Da Pechino tutto questo non si capisce. La Cina ha un animo estremamente pratico. Se la Russia perde militarmente in Ucraina e politicamente in Europa Pechino si spaventa e forse potrebbe cominciare a cambiare. Se viceversa la Russia vince su questi due fronti allora la Cina seguirà la Russia. La concordanza tra partita Ucraina e partita cinese deve essere anche chiara a Washington visto che il segretario per la sicurezza nazionale ha recentemente spiegato che vincere la Russia significa rassicurare Taiwan.

Certo la politica americana non è un leviatano onnisciente, è fatta di mille rivoli, tendenze e controtendenze che devono trovare continuamente una mediazione, ma oggettivamente in queste condizioni internazionali e senza un obiettivo preciso da perseguire il viaggio della Pelosi a Taiwan rischia di creare confusione non solo in Asia ma anche in Europa, e in Ucraina.

Sarebbe meglio piuttosto concentrarsi sulla guerra e sulla stabilizzazione politica in alcuni paesi europei, per dare un messaggio importante alla Cina ma anche in Europa, e in Ucraina. Del resto durante la prima Guerra fredda la guerra di Corea e la lunga guerra in Indocina prima dei francesi e poi degli americani avevano un effetto politico diretto e importante anche nelle vicende europee.

Oggi le vicende e le guerre europee possono essere fondamentali per le questioni asiatiche. Viceversa, muoversi in maniera scoordinata tra est e ovest dà a Pechino un messaggio di confusione oppure di complotti invisibili da parte americana. Entrambi sono segnali pericolosi. La domanda quindi oggi sarebbe cosa può fare la Pelosi in Italia per aiutare Taiwan? Per certi versi la questione cinese si vede anche in Italia.La Meloni oggi candidato premier in pectore ha anche l'onere e l'onore di rispondere a tale questione.


In attesa della risposta elettorale

Di  Pompilio Del Prato 27/luglio/2022

 Siamo certi che le prossime consultazioni elettorali portino quella saggezza necessaria a far ripartire il nostro sgangherato paese senza una guida determinata e capace. In un mondo globalizzato non bastano le capacità del soggetto incaricato nel ruolo di Premier.

Il nostro paese ha bisogno di credibilità internazionale per poter sperare in una ripresa di interessi ad investire nella capitale del mondo. Tra le formazioni in capo non vedo campioni in grado di determinare le sorti della partita, con azioni che solo i fuoriclasse sanno fare.

Un giocatore può aspirare ad un risultato positivo se e in grado di giocare per la squadra e con il proprio uomo faro, quello che con un lancio millimetrico mette il compagno a tu per tu con l'estremo difensore della squadra avversaria. In grado quando gioca di condizionare i giocatori avversari.

Il 26 settembre sapremo chi avrà il gravame e la responsabilità di portare la Nazione fuori dalla secca, che da anni sta lacerando l'immagine del paese Italia di chi Italiano non è.

Una legge elettorale che con la scusa della massima partecipazione democratica ha generato una porcata inenarrabile che demolisce i fondamentali della tanto annunciata governo del popolo.

Il Rosatellum bis, sottotitolato "Porcellum" votato nel 2017 dalla maggioranza dei partiti più rappresentati. Ha manifestato da subito la sua inadeguatezza nelle elezioni del 2018. Il risultato in quattro anni tre governi. Ed ogni governo ha generato danni inenarrabili, l'ultimo quello che ha fatto sperare in una possibile inversione del narcisismo politico, il governo di coalizione, guidato da una figura di caratura internazionale per il suo vissuto da presidente leader della banca Europea (BCE) Mario Draghi che proprio per la sua cultura di matematico ha mal digerito le così tanto proclamate sottigliezze politiche di mediazione. Una mediazione che nel paese Italia ha sempre generato il Caos, costringendo i propri cittadini a perdere quella fiducia verso chi eletto sperava in un cambiamento per garantire l'arrivo ad uno scalo tranquillo.

Permettetemi il dubbio, se già ora in una campagna elettorale tanto stringata nei tempi, ci sono già ora nette distinzioni di opinione su come, se chiamati a governare, organizzare e applicare il programma elettorale, senza dimenticare le puntualizzazioni su chi spetta il grado di comandante del vascello (ITALIA).

Fondamentale l'apparentamento per chi sa di non poter superare la soglia di sbarramento, fissata al 3%. Basilare per la propria sopravvivenza trovare nei partecipanti alla contesa, il partner ideale con le dovute caratteristiche per conservare il posto a tavola.

Se per i piccoli fondamentale e sopravvivere, per i più strutturati e probabili finalisti l'impegno resta quello di individuare il capitano della squadra. Un capitano che abbia quelle caratteristiche fondamentali a far sì che la sua bravura sia quel valore aggiunto per far emergere la propria Nazionale.

Come finirà questa triste farsa politica, lo vedremo nei prossimi mesi. Al momento l'unica apparente certezza è che i risultati elettorali 2022, difficilmente sfioreranno quelli del 2018. Ci sono, tuttavia i sondaggi che sembrano rincuorare le formazioni di quel centro destra certo della vittoria sul male.

Ma anche i migliori sondaggisti rischiano di essere sbugiardati. Ce una parte significativa dell'elettorato (oltre il 65% secondo il campione di Banca d'Italia), che non ha santi in paradiso, ha subito tutti i malfunzionamenti sociali di un Paese che si è progressivamente focalizzato. A difesa dei più poveri e dei più ricchi. Mario Draghi aveva dato una speranza. Speranza legata soprattutto al miglioramento dell'umiliato sistema economico nazionale. Populisti d'ogni risma e d'ogni malsano orientamento lo hanno cacciato. Forse non succederà alcunché. Ma è come se, all'improvviso, l'orologio del tempo scorresse a ritroso.



Non in Draghi ma nel draghismo le ragioni della crisi

Di Roberto Arditti | 25/07/2022 -

Questo governo ancora in carica è composto dal meglio che abbiamo? Per molti versi sì, a cominciare dal premier che è un fuoriclasse e che ci mancherà. Ma sono proprio quelli bravi che devono trovare le soluzioni a problemi difficili, perché chiederle a quelli scarsi è fatica sprecata

Il governo Draghi ha potuto disporre della più forte mobilitazione di società civile che si ricordi nella seconda Repubblica, dell'appello esplicito di centinaia di sindaci, del sostegno di molti governatori, dell'appoggio garbato ma totale del Quirinale, dell'evidente favore di larghissima parte della comunità internazionale di tipo democratico e di ottima stampa anche (e forse soprattutto) nelle convulse ore dell'ultima settimana.

Nonostante tutto questo è crollato in poche ore, di fronte ad una manovra politica che ha visto protagonisti i due attori principali del governo giallo-verde d'inizio legislatura (Conte e Salvini) questa volta sostenuti anche da Silvio Berlusconi.

Come si è prodotto questo sorprendente risultato? Può essere solo figlio dell'ansia elettorale di partiti in calo nei sondaggi (elemento comunque assai rilevante) o dell'ormai piuttosto esplicita freddezza dello stesso premier di fronte all'idea di continuare?

A mio avviso no, per ragioni che proverò sinteticamente ad esporre.

Credo infatti all'esistenza di tre motivi essenziali e convergenti come causa della chiusura anticipata della legislatura, motivi che vanno seriamente analizzati anche in vista dei prossimi anni.

Il primo sta nel fatto che il governo Draghi nasce "costruito" per concludere la sua esperienza con l'elezione del Capo dello Stato, dopo aver gestito l'emergenza pandemica ed aver avviato le attività del Pnrr. Lì si sarebbe dovuta concludere la legislatura, con il passaggio dell'ex presidente della Bce al Quirinale. Le cose però sono andate diversamente (e a destra se ne pentiranno negli anni a venire) ma la partita si è chiusa comunque perché il suo motore "politico" interno ha cessato di girare. E soltanto lo scoppio della guerra russa all'Ucraina ne ha ritardato l'evidenza.

Il secondo è legato al fatto che in Italia da molto tempo a questa parte nessuno o quasi riesce ad immaginare più una campagna elettorale essendo forza di governo (ci riesce in parte solo il Pd, ma non la sinistra: ed è ben evidente che Pd e sinistra non sono la stessa cosa da anni). Quindi all'avvicinarsi delle elezioni tutti vogliono correre all'opposizione di qualcosa per sentirsi più sicuri.

Infine c'è la ragione più importante, almeno a mio avviso. Essa riguarda in parte lo stesso primo ministro ma soprattutto il fenomeno da lui generato, che vorrei chiamare "draghismo". Cos'è questo fenomeno? Diciamo che è la convinzione di essere i migliori a prescindere, di avere ragione a prescindere, di saper indicare la strada giusta perché dotati di competenza, buone relazioni, esperienza invidiabile.

Ebbene questo "draghismo" ha per settimane irriso ogni altro soggetto o potere presente nel sistema, ha giocato come il gatto con il topo su molte decisioni, ha trattato il Parlamento (per inciso il peggiore della storia della Repubblica) come un mero esecutore delle volontà governative ed i leader politici (quelli che abbiamo, con tutti i loro evidenti limiti) come intralci fastidiosi.

Arrivato a pochi mesi dalla scadenza naturale, non più protetto dal timore di interrompere la legislatura con troppo anticipo e indebolito dal mancato passaggio al Quirinale del capo del governo, il " draghismo" si è scoperto fragile, incapace di combattere (o di mediare, che in politica è la stessa cosa) ed è andato giù per volontà di poche persone cui ha opposto strategie perdenti ed anche un po' patetiche (vedi la scissione di dieci giorni fa nel M5S), che hanno finito per accelerare la crisi anziché prevenirla.

I migliori cioè non hanno saputo trovare una forma di dialogo con l'anima populista (e popolare) della nazione, che, per quanto "stracciona" possa apparire vista da Capalbio, non può essere derubricata a fenomeno inesistente ed irrilevante.

Insomma il "draghismo" ha grandemente peccato di superbia. Quel governo (anzi questo, perché è in carica) è composto dal meglio che abbiamo? Per molti versi sì, a cominciare dal premier che è un fuoriclasse e che ci mancherà. Ma sono proprio quelli bravi che devono trovare le soluzioni a problemi difficili, perché chiederle a quelli scarsi è fatica sprecata.

Condividi tramite BLOK 



Il Dramma che ci porta a queste elezioni rischiano d'essere ricordate come l'Aventino degli elettori

Di Pompilio Del Prato 25/luglio/2022

Quanti elettori giovani e meno giovani, si sono stufati di questo scenario politico, capace solo di rivaleggiare tra loro senza curarsi dei veri problemi del paese.

Sembrava, dopo ben quattro anni di dilettanti allo sbaraglio, manifestando tutta la loro incapacità a governare un paese in preda alla più grave epidemia del terzo millennio, con un'economia in bilico ed una pandemia in crescita senza saper affrontare il problema con la consapevolezza e l'esperienza necessaria. Da questo dramma istituzionale hanno obtorto collo sottoscritto un contratto morale, chiesto dal presidente della Repubblica Mattarella, dando vita ad una forma di governo partecipata dalla maggioranza delle forze politiche presenti in parlamento. A guidare questo governo di unità Nazionale e stato chiamato Mario Draghi, personaggio di caratura internazionale per aver diretto la BCE per ben sette anni con professionalità e determinazione nei confronti dei puri e duri dell'unione Europea.

Quando l'alterigia di un sistema politico focalizza le sue scelte consultando prima l'oracolo del gradimento, allora sì che sorgono problemi, ed è quello che è successo.

Diffidenti per natura hanno deciso di abbattere anche l'unica persona in grado di dare un volto nuova all'emarginazione dell'Italia nel mondo. Incompetenza, arroganza, narcisismo hanno pesato, per ragione di convenienze politiche, tutte da verificare, di staccare la spina al governo di coalizione Nazionale guidato da Draghi.

La crisi del governo Draghi e stata per cittadini e imprese spiazzante per la pochezza delle ragioni introdotte, per delegittimare un governo in grado di dare risposte concrete alle esigenze del paese, un governo del fare, in grado di dare corpo ai patti.

Non le solite promesse che tutti i partiti hanno elargito con disinvoltura e non curanza, promettendo quello di cui il cittadino elettore sente dire dal secolo scorso.

Quest'ultimo ribaltone, ribaltone che nessuno si aspettava in questo delicatissimo momento mondiale per le difficili dinamiche in gioco: guerra in Ucraina, l'inflazione, il piano per ottenere i finanziamenti Europei PNRR, riforma della giustizia, tra i più urgenti.

E cosa fa il nanismo politico, delegittima il presidente del consiglio per un puro interesse elettorale.

Ma questo nanismo politico e consapevole della gravita del loro assunto. Attratti dalle sirene della vittoria elettorale assicurata dall'Oracolo di Melfi, certi del buon esito del risultato favorevole, scateneranno sospetti e allusioni d'ogni genere e forma, scaricandosi colpe l'un l'atro.

Ma credo che se sulla scena politica italiana non sorgerà una nuova coalizione con un leader capace e credibile accompagnato da persone oneste e capaci di gestire con serietà e consapevolezza per cercare di risolvere le numerose criticità di questo paese, allora sì che si fa reale e concreto l'Aventino degli elettori, stanchi e delusi di un mondo politico che non li rappresenta.

Povera patria

Schiacciata dagli abusi del potere Di gente infame, che non sa cos'è il pudore

Si credono potenti e gli va bene quello che fanno E tutto gli appartiene 

Tra i governanti Quanti perfetti e inutili buffoni

Franco Battiato

L'ombra russa sul patatrac italiano.

Di Francesco Bechis | 22/07/2022 -

Esteri

Intervista al co-presidente dell'European council on foreign relations (Ecfr), ex premier svedese: si apre una finestra di incertezza, al Cremlino stappano champagne. Ucraina? Draghi fondamentale, la coalizione di centrodestra dovrà superare il test atlantico

All'euforia un po' isterica della politica italiana, catapultata in una campagna elettorale lampo sotto l'ombrellone con la crisi del governo Draghi, si contrappongono i volti cinerei che dalle cancellerie europee osservano l'ennesimo patatrac italiano. Ne è convinto Carl Bildt, ex premier svedese, co-presidente dell'European Council on Foreign Relations (Ecfr), "se cercate lo champagne, stanno stappando al Cremlino".

Com'è la crisi italiana vista dall'Europa?

Si chiude una finestra di opportunità che, non c'è dubbio, ha aumentato il prestigio dell'Italia nel mondo. Si apre una finestra di incertezza sul futuro della politica estera e dell'economia italiana che preoccupa non poco le cancellerie europee.

Traccia un quadro grigio.

Il tempismo è pessimo. La rottura arriva in una congiuntura senza precedenti, dall'aggressione russa all'Ucraina allo spettro di una recessione europea fino alla crisi energetica. Due mesi di montagne russe non ci volevano.

È l'inizio di un domino europeo?

Su questo sarei più cauto. Altri Paesi europei hanno fatto i conti con l'instabilità politica in tempi recenti. La Francia con le elezioni parlamentari, il governo tedesco con un'estenuante trattativa fra partiti, il Regno Unito con la crisi di Johnson. Tutti però stanno reggendo l'onda d'urto.

Per l'Ucraina è un guaio?

Senz'altro, Draghi è stato un pilastro del sostegno occidentale all'Ucraina. C'è la sua firma sullo status di candidato a Paese membro dell'Ue, è stato lui a convincere Parigi e Berlino. Con la sua uscita di scena si apre un interrogativo sull'invio di armi da parte dell'Italia ma soprattutto sull'aiuto finanziario a Kiev. La guerra è un affare che costa molto, l'economia ucraina è in seria sofferenza e ha bisogno di una mano esterna.

C'è l'ombra di Putin sul caos italiano?

Non sappiamo se c'è stata la mano di Putin. Sappiamo però che l'instabilità politica e l'incertezza che ora aleggiano su Roma fanno di Putin un vincitore di questa partita. Non sarei sorpreso se sentissi volare tappi di champagne al Cremlino.

Salvini, Berlusconi, Conte. I picconatori di Draghi sono tutti amici dello zar.

Il sospetto è lecito. Salvini in particolare non ha mai fatto mistero del suo legame con la Russia. In Europa ricordano bene i suoi selfie sulla Piazza Rossa con la maglietta di Putin. E quelle foto, ne sono certo, riprenderanno a girare in questi giorni.

I sondaggi parlano chiaro: alle elezioni il centrodestra guidato da Giorgia Meloni può vincere. In Europa come prenderebbero una sua vittoria?

Per giudicare, aspettiamo di leggere un programma sulla sicurezza nazionale e la politica estera. È noto che Meloni ha sostenuto senza esitazioni l'Ucraina di fronte all'attacco russo. Ma è nota anche la sua vicinanza politica a Donald Trump. Una cosa è certa: se fate un giro tra le capitali europee, non vedrete volti distesi.

(Foto: Joakim Berndes)


Analisi sui nostri rappresentanti politici, o no?

 

Di Francesco Bechis 21/07/2022

Intervista al professore della Cattolica: non si può escludere una regia russa dietro la crisi del governo Draghi, scatenata dagli aedi italiani di Putin, che infatti brinda al Cremlino. Occhio alle interferenze e ai finanziamenti, meglio una campagna lampo. Meloni? Atlantista lei, i suoi elettori un po' meno

Parafrasando Ligabue, il peggio deve ancora venire. Ne è convinto Vittorio Emanuele Parsi, professore di Relazioni internazionali dell'Università Cattolica, che guarda corrucciato al buio oltre la crisi di governo. Saltato Mario Draghi, spiega a Formiche.net, si apre una campagna elettorale che vedrà in campo un altro partito. Trasversale, agguerrito, russo.

Parsi, questa crisi viene da fuori?

Ci sono cause esterne che hanno concorso a terremotare Draghi. Ben visibili durante il presunto dibattito sul sostegno all'Ucraina.

A chi si riferisce?

Negli ultimi anni abbiamo assistito a un intervento indiretto della Russia nei processi democratici in America, Inghilterra, Francia. Ci sono buone ragioni per pensare che l'Italia sia nel mirino.

Il partito russo ha fatto la sua parte?

Sono ipotesi, difficile da dimostrare. È noto però che Salvini, Berlusconi e Conte hanno rapporti ottimi e non del tutto trasparenti con Putin.

Lo zar sta brindando?

Non c'è dubbio. Draghi è stato un asset fondamentale nella fermezza europea contro la Russia, anche a lui si deve l'architettura delle sanzioni che hanno colpito il Cremlino. Con il domino tra Londra, Parigi e Roma, a Mosca festeggiano.

La campagna elettorale è partita. Ci saranno tentativi di interferenze?

Bisogna fare estrema attenzione ai flussi di finanziamento. È bene verificare da dove arrivano i soldi e per chi. Sarà una campagna elettorale breve - Mattarella la ridurrà al minimo per salvare la tabella di marcia europea - ed è meglio così. Più va per le lunghe, più si presta a maneggiamenti esterni.

Prima il contraccolpo Macron, poi Johnson, ora Draghi, infine le mid-term che promettono tempesta per Joe Biden. Sono mesi decisivi per l'Ucraina?

Senz'altro. L'attrito materiale e umano si fa sentire. Il 40% delle truppe professionali o è caduto o non è in grado di combattere. E sappiamo che tra gli aiuti militari promessi dall'Ue e quelli effettivamente consegnati c'è un burrone.

Il caos italiano mette Volodymyr Zelensky nei guai?

Apre una finestra pericolosa. Se la Russia vince la guerra in questo frangente, con i principali leader europei sulla via del tramonto, l'Ue rischia di saltare. Grazie a Salvini, Berlusconi e Conte abbiamo fatto un passo verso il baratro.

I sondaggi danno il centrodestra in testa. Draghi ha fatto dell'atlantismo un vincolo quasi costituzionale. Deve restare tale?

Dovranno dimostrarlo i vincitori delle elezioni. Nella coalizione di centrodestra Fdi è l'unico partito ormai apertamente atlantista e schierato senza ambiguità con l'Ucraina. Ma un sondaggio di Aspen dimostra che l'elettorato meloniano strizza l'occhio al Cremlino. Vedremo se sapranno risolvere questa contraddizione.

Condividi tramite

Influenzati da chi?

Di Marco Mayer | 18/07/2022 -

In Italia per fortuna le attività di influenza non costituiscono reato: siamo un Paese libero. Spetterebbe però ai media scavare in profondità e spiegare interessi politici ed economici. In particolare, nel nostro Paese nessuna televisione ha riportato una notizia davvero inquietante

In una interessante intervista a Luca Fazzo su il Giornale il prof. Umberto Saccone ha confermato l'influenza di Mosca sulla crisi di governo in Italia. Umberto Saccone non è noto al grande pubblico, ma è persona di grande esperienza.

È stato per anni uno dei protagonisti della nostra counterintelligence al Sismi e poi vice presidente dell'Eni con la delega alla security in tutto il mondo. È persona riservata e concede interviste raramente - fedele alla tradizione dell'Arma dei Carabinieri da cui proviene.

Saccone ha inoltre scritto importanti libri di testo in materia di sicurezza. Ora insegna alla Luiss come Alessandro Orsini (da mesi al centro dell'attenzione mediatica per le sue stravaganti posizioni sulla guerra).

In un Paese normale, dopo l'intervista di Saccone sul ruolo della Russia nella crisi di governo, decine di giornalisti inseguirebbero l'ex dirigente del Sismi sin sotto casa nella speranza di aver più elementi a supporto delle sue informazioni sulle campagne di influenza di Mosca In Italia.

Da noi, invece, Orsini è di moda, Saccone no. Peccato. Invece di polemizzare con il Copasir (per le notizie inventate su presunte liste di proscrizione) i direttori di giornali e telegiornali (Sansonetti in primis) potrebbero incaricare i loro redattori di indagare con inchieste mirate il fenomeno della influenza russa nel nostro Paese.

Oltre alle dichiarazioni del prof. Saccone ci sono numerosi spunti per incuriosire giornalisti intraprendenti. Ecco un elenco sommario: diramazioni da San Marino, società russe che gestiscono aeroporti civili italiani, missione militare dalla Russia con amore, Invitalia e Gazprom Italia, partito trasversale del gas, banche russe in Italia, esposizione delle grandi banche italiane in Russia, investimenti di grandi aziende energetiche (e non solo) nella Federazione russa.

Invece di scavare sui fatti si da spesso voce a esponenti del regime di Putin, non si intervistano i giornalisti russi dissidenti indipendenti e soprattutto, come ha raccontato Francesco Bechis su Formiche.net, non si dà conto delle bugie che raccontano i giornali di Mosca sull'Italia, crisi di governo compresa, una fake news dopo l'altra.

In Italia per fortuna le attività di influenza non costituiscono reato: siamo un Paese libero. Spetterebbe però ai media scavare in profondità e mettere alla gogna i bugiardi. Nel nostro Paese nessuna televisione ha riportato una notizia davvero inquietante.

Qualche giorno fa il New York Times ha segnalato un video da Mosca in cui un alto dirigente del ministero della Pubblica Istruzione spiega nei dettagli ai maestri delle scuole elementari come è perché il Cremlino sta stravolgendo i programmi scolastici della Federazione Russa. L'obiettivo è creare una nuova generazione di ragazzi "putiniani".

Questa scelta didattica indica un processo di degenerazione totalitaria del regime di Putin (quasi peggiore della guerra) che richiama alla memoria i pionieri di Stalin e la gioventù hitleriana.

Forse l'iniziativa nelle scuole è una reazione del regime di Mosca al disagio che serpeggia tra i giovani russi per la guerra. Alessandro Di Battista non se ne deve essere accorto nella sua misteriosa missione di corrispondente per il Fatto da Mosca.

Per fortuna il grande disagio dei giovani russi per l'invasione dell'Ucraina lo ha raccontato bene Federico Fubini sul Corriere della Sera.

A proposito di Alessandro Di Battista, mi viene in mente una domanda dopo aver ascoltato il suo video di ieri. Perché da Mosca (se è ancora lì) ha sentito il bisogno di ringraziare come unico leader al di fuori dei 5 Stelle Matteo Salvini?

Probabilmente sapeva che sia Salvini che Conte volevano il voto di sfiducia al Senato. Altrimenti perché la Lega si è così infuriata alla proposta di iniziare dalla Camera dove Conte è in grande difficoltà?

Una Nazione in balia ad un  Nanismo Politico 

.Per capire cosa succederà mercoledì, leggere le parole di Draghi

Di Carlo Fusi | 17/07/2022 -

Si torna all'ammonimento dell'inquilino di Palazzo Chigi sui rischi prodotti dal populismo. Il testamento di un servitore dello Stato che avverte arrivare l'onda alta di un fenomeno che può spazzare via ogni sforzo di buongoverno. Il mosaico di Fusi

Tic toc, tic toc. Scorre inesorabile la sabbia nella clessidra della crisi. Sono rimaste una settantina di ore all'appuntamento al Senato di Mario Draghi, quando la crisi verrà come si dice parlamentarizzata. Quando cioè sarà troppo tardi, quando i giochi saranno fatti e non resterà che ascoltare il de profundis delle larghe intese confermato dal presidente del Consiglio. È possibile che da quella certificazione di morte resusciti un altro governo oppure lo stesso amputato di tutto o di una fetta dei Cinquestelle?

È il miracolo nel quale sperano in tanti e per il quale tanti si danno da fare. Mettendo sul tappeto le forti e giustificate preoccupazioni riguardo gli impegni da rispettare, il Pnrr da radicare, le questioni geo-politiche prodotte dalla guerra tra Russia e Ucraina da affrontare. E anche su questa base poggia il pressing delle cancellerie internazionali, a partire dalla Casa Bianca, affinché non cada quello che era diventato un punto di riferimento forte e riconosciuto: il capo del governo italiano. Per non parlare degli effetti nefasti prodotti dal precipizio delle elezioni anticipate, un esito che il Quirinale, comprensibilmente e saggiamente, vorrebbe evitare ma al quale si prepara se ogni strada risultasse sbarrata.

Chissà. Forse per avere qualche lume è necessario riandare ad un passaggio già esaminato da chi scrive in modo rovesciato rispetto al quale è stato interpretato. Bisogna cioè andare all'ammonimento rivolto proprio dall'inquilino di palazzo Chigi all'indirizzo dei rischi prodotti dal populismo. Che si annidano nella penuria di gas che vivremo questo inverno e che possono alimentare pericolosi focolai di protesta sociale, il brodo di coltura preferito dai gilet gialli in versione nostrana.

"Dobbiamo evitare gli errori commessi dopo la crisi del 2008 - spiegò infatti Draghi all'indomani del Consiglio europeo di fine giugno - la crisi energetica non deve produrre un ritorno del populismo. Abbiamo gli strumenti per farlo: dobbiamo mitigare l'impatto dell'aumento dei prezzi dell'energia, compensare le famiglie e le imprese in difficoltà, tassare le aziende che fanno profitti straordinari". Concetti in buona parte poi riversati in provvedimenti compreso il decreto Aiuti che il M5S non ha votato rifiutando il pronunciamento di fiducia chiesto da palazzo Chigi, e che ora Giuseppe Conte giustifica dicendo che quel no non riguardava i contenuti ma "era a causa delle umiliazioni subite".

Appunto. Il tiro si può infatti allargare sul populismo brandito riprendendo concetti che il capo del governo ha recentemente espresso con forza. "Serve un'azione di governo che renda il populismo non necessario", ha spiegato Draghi in conferenza stampa. "Il populismo spesso è insoddisfazione, isolamento, alienazione. Questi temi si sconfiggono con un'azione di governo che risponda ai bisogni dei cittadini, ai bisogni degli italiani".

Ecco, forse il punto sta qui. Quelle parole furono interpretate come la voglia di un presidente del Consiglio "tecnico" di avviare un percorso politico. Invece adesso si capisce ancor meglio che erano il testamento di un servitore dello Stato che avverte arrivare su di sé e sul Paese l'onda alta di un fenomeno che se non fronteggiato con determinazione e coesione può spazzare via ogni sforzo e svellere ogni bandiera piantata dal buongoverno.

Forse è questo che Mario Draghi vede. Una sorta di tsunami che le larghe intese e lo spirito di intesa che erano alla base del suo tentativo ispirato dal Colle dovevano arginare e che al contrario ora rischiano di essere sommerse visto che le trincee non sono più così salde.

Se è così - e i concetti espressi nell'addio i Consiglio dei ministri prima della salita al Colle vanno in questa direzione - il percorso è segnato, la crisi inevitabile, le dimissioni obbligate. C'è chi prova, invertendo la razionalità dei fatti, ad accusare Draghi di essere un novello Schettino, di voler abbandonare la nave ora che barcolla vistosamente. Magari vale il contrario, magari chi avanza queste accuse dovrebbe domandarsi il senso di aver minato il vascello con falle sotto la linea di galleggiamento. O ponendo continui ultimatum con i quali, sono sempre parole di Draghi, "non si governa".

Ma se davvero il punto nodale è il populismo, non possono essere circonvoluzioni procedurali o esecutivi in un modo o nell'altro rabberciati a sanare la situazione. Debbono essere i cittadini a farlo. Nel 2018 assegnarono a M5S e Lega le chiavi della legislatura. Ora possono recapitarle in altri mani, se credono. Quelle di Draghi sono impegnate in un saluto volutamente di commiato. E l'errore più grande sarebbe costringere un premier ad andare avanti sapendo che non può governare. Anche questo alimenta il populismo. Non è, non può essere la scelta di SuperMario.

Phisikk du role - Ius Scholae, la cittadinanza che divide (e la paralisi del Parlamento)

Di Pino Pisicchio  04/07/2022 - 

È evidente che la maggioranza a sostegno di Draghi sarà destinata a spaccarsi in occasione di un voto ad alta caratura identitaria per le alleanze che si profilano per le prossime elezioni. Ma è possibile che il Parlamento debba condannarsi solo alla ratifica degli atti di governo se non vuole saltare per aria? La rubrica di Pino Pisicchio
In fondo l'unica risposta di senso al crollo demografico italiano sembrerebbe quella di allargare i modi di acquisizione della cittadinanza, oggi incentrata essenzialmente sul legame di sangue (il cosiddetto Ius sanguinis), salvo l'ipotesi di "naturalizzazione" che consente agli stranieri di chiedere la cittadinanza dopo 10 anni di permanenza continuativa sul suolo italiano (mentre i loro figli saranno costretti ad attendere il compimento della maggiore età).
L'impianto dello ius sanguinis si collegava anche alla volontà del nostro ordinamento giuridico - originato da scelte politiche precise - di mantenere vivo il legame con i tanti emigrati italiani all'estero, che contribuivano alla prosperità del nostro Paese con le loro rimesse. Il privilegio che viene riservato ai discendenti degli italiani veniva, infatti, illustrato da una legge di trent'anni fa che consente loro l'acquisizione della cittadinanza italiana dopo tre anni di residenza in Italia, cosa negata ai figli degli stranieri, ancorché nati in Italia (l'idea di un'apertura in questo senso era sostenuta dal cosiddetto Ius soli).
Lo Ius scholae (conosciuto anche come Ius culturae), rappresenta, dunque, l'ultimo tema di scontro tra le forze che sostengono la maggioranza di governo, come argomento accessorio all'eterno conflitto sulle politiche migratorie. Secondo la proposta di legge in discussione alla Camera si consente l'acquisizione della cittadinanza italiana al minore straniero che sia nato in Italia o vi abbia fatto ingresso entro il compimento del dodicesimo anno di età e vi abbia risieduto legalmente e senza interruzioni, frequentando regolarmente per almeno cinque anni cicli scolastici proposti dal sistema scolastico nazionale o dalla formazione professionale (regionale).
È una proposta sensata? Senza dubbio alcuno lo è, non solo perché, come pure è stato rilevato guardando ad alcune evidenze di cronaca, si consentirebbe in questo modo a tanti giovani atleti che raggiungono livelli importanti nelle gare internazionali, di poter gareggiare con la maglia della nazionale, ma si restituirebbe il dovuto a giovanissimi italiani, nati qui, cresciuti qui, immersi in un ambiente culturale italiano, in qualche caso addirittura capaci di esprimersi con una proprietà di linguaggio (e di grammatica) superiore a molti adulti italiani.
E allora perché non si procede tutti insieme appassionatamente? Perché siamo precipitati in una lunga campagna elettorale e questo tema - serio - diventa oggetto di propaganda. La bandiera su cui sono cucite le insegne di quelli con la faccia dura sventola contro quella dove si allineano le parole politicamente corrette. E questo è un peccato, perché svapora così una buona occasione di riforma.
La questione, oltre il clima elettorale, ha un suo rilievo che riguarda il rapporto tra Parlamento ed esecutivo nel caso di governi di unità nazionale.
Dice qualcuno: era proprio questo il momento per tirare fuori un tema così divisivo? Quale che possa essere la valutazione "politica" intorno alla domanda, resta comunque un altro inquietante quesito: ma è possibile, allora, che il Parlamento debba condannarsi solo alla ratifica degli atti di governo se non vuole saltare per aria? Negli ultimi decenni abbiamo avuto una quantità di governi "tecnici" tale da mettere in piedi un'intera legislatura, mettendo in fila Ciampi, Dini, Monti e Draghi. In quella "legislatura virtuale" il Parlamento non ha toccato palla, dovendo solo fungere da ratificatore. Allora, prima di andare al voto dell'anno venturo, pensiamo un momento a questa insostenibile anomalia, per favore, e cerchiamo di creare le condizioni per evitare la riedizione della paralisi parlamentare.

la fortuna di avere un vero CAPITANO

Passi avanti sul tetto europeo del gas, si apre un varco per l'Albania in Ue e l'Ucraina è già candidata. C'è un bicchiere mezzo pieno per il premier Mario Draghi dal Consiglio europeo. Ma non mancano stoccate e resistenze. Un resoconto

Di Francesco Bechis | 24/06/2022 -

A fine giornata il presidente del Consiglio Mario Draghi può tirare un sospiro di sollievo. Dal Consiglio europeo che ha aperto le porte dell'Ue all'Ucraina e la Moldavia l'Italia esce con un bicchiere mezzo pieno. La battaglia di Palazzo Chigi per il "price cap" - un tetto europeo al prezzo del gas (in queste ore si parla di una soglia di circa 90 euro a megawattora) - sta mostrando i primi risultati.

Nelle conclusioni del Consiglio pubblicate nella mattinata di venerdì c'è un riferimento esplicito. Cioè l'invito alla Commissione europea di valutare "la possibilità di introdurre tetti temporanei ai prezzi delle importazioni dell'energia, dove appropriato". Non era scontato, in un summit tutto incentrato sul percorso di adesione dei nuovi candidati. La road map si fa più chiara ma la strada resta in salita. Difficile convocare un Consiglio straordinario sull'energia già a luglio. Entro settembre la Commissione produrrà un documento sul tetto ai prezzi, a ottobre ci sarà la discussione.

Per Draghi è comunque una semi-vittoria. Il premier è convinto che intervenire sulla bolla del mercato energetico sia un'urgenza assoluta. Con i prezzi del gas alle stelle - la scorsa settimana balzati del 43% dopo l'annuncio dei tagli alle forniture da parte russa - "Putin sta incassando le stesse cifre di prima e l'Europa sta agendo difficoltà immense", ha ammesso in conferenza stampa a margine del Consiglio. Nel frattempo il fronte a favore di un tetto va allargandosi.

Accanto all'Italia ora ci sono Spagna, Francia, Irlanda, Grecia. Rimane il muro di Olanda e Germania, che però inizia a mostrare le prime crepe. La prima vede nel price-cap un ostacolo alla liberalizzazione del mercato energetico e non a caso: l'Olanda è un produttore di gas e Amsterdam è la sede principale degli scambi europei. Da Berlino avanzano un'altra tesi: un tetto al prezzo del gas porterebbe a un taglio drastico, definitivo delle forniture di gas dalla Russia. Gli eventi di queste settimane però smentiscono in parte i timori: la Russia "ha già tagliato le forniture" alla Germania, ricorda Draghi con la stampa, richiamando il blocco del 40% dei flussi da parte di Gazprom la scorsa settimana, che ieri ha spinto il ministro verde dell'Economia e del clima Robet Habeck ad attivare il piano d'emergenza per l'energia.

Anche per questo, spiegano fonti diplomatiche, se il price cap non è certo la panacea di tutti i mali, è una misura che permetterebbe di colpire il flusso in entrata nelle casse di Mosca e operare come una sanzione indiretta. Di alternative, questo il ragionamento a Roma, non se ne vedono. E infatti in conferenza Draghi ha tirato una stoccata indiretta alla Spagna, quel "Paese europeo" che ha scelto di "agire compensando gli importatori di gas che importano a prezzo di mercato e distribuiscono a un prezzo più basso grazie ai sussidi pubblici". Un cortocircuito, dice il premier, perché "grazie alle interconnessioni delle reti in Europa gli altri Paesi vanno a comprare dove costa meno e questo avviene grazie al sussidio di questo Paese".

Sul fronte delle adesioni Draghi torna da Bruxelles forte dello status di candidato all'Ucraina, difeso dall'Italia senza esitazioni fin dall'inizio della guerra. Resta il nodo di Albania e Macedonia del Nord, lasciate alla porta. Anche qui però si intravede uno spiraglio: dopo il veto del governo bulgaro, venerdì il Parlamento di Sofia ha aperto alla candidatura di Skopje.

L'Italia, ha ribadito Draghi, sostiene entrambe le candidature ma vuole dividere i destini dei due Paesi balcanici. Se lo stallo con la Macedonia del Nord dovesse continuare, ha detto il premier facendo sponda all'omonimo albanese, il presidente Edi Rama, Roma proporrà un decoupling delle procedure: "Noi siamo dell'idea che se dovessero emergere altri problemi per la Macedonia del Nord l'Albania debba procedere con i negoziati per conto proprio"..

Airbag Draghi, perché l'Italia passerà il test ucraino. Parla Bremmer
Di Francesco Bechis | 20/06/2022 -
Esteri
Il presidente di Eurasia Group a Formiche.net: la Russia sfrutta le divisioni nella politica italiana, ma l'Italia supererà il test di Palazzo Madama. Ue forte nella crisi, è una garanzia per il dopo Draghi. Nel Donbass vantaggio russo, Mosca pagherà caro il decoupling
Comunque vada il voto del Parlamento italiano sull'invio di armi in Ucraina, la posizione dell'Italia nella crisi "resta chiarissima". Ian Bremmer, politologo della New York University e presidente di Eurasia Group, spiega a Formiche.net perché, con o senza Mario Draghi a Palazzo Chigi, Roma può tenere la barra dritta in politica estera.
Bremmer, è un voto decisivo?
Non penso che la posta in gioco sia così alta. La visita di Draghi, Macron e Scholz a Kiev è stata una prova di compattezza. L'Italia ha confermato il sostegno all'entrata dell'Ucraina in Ue. Sono queste le cose che contano.
Quanto dura il fronte unitario?
Non lo sappiamo. Sappiamo però che finora la Russia non è riuscita a inserire un cuneo. In quattro mesi l'Ue ha approvato sei pacchetti di sanzioni in coordinamento con Stati Uniti e Regno Unito, l'alleanza transatlantica sta reggendo bene.
I Cinque Stelle si dividono sull'invio di armi, la Lega anche. Può nascerne un assist a Putin?
È un rischio reale. Qualsiasi governo italiano succeda a Draghi sarà più debole. L'Italia rimarrà forte finché l'Europa sarà forte. E finora l'Europa ha tenuto la barra dritta: chi conosce il sistema delle sanzioni sa che se approvarle è difficile, annullarle e tornare indietro lo è molto di più.
L'Ucraina regge ancora a lungo?
Si apre una fase critica. Ripetere il successo dei primi due mesi, con un'armata russa più grande e più determinata di prima, non sarà una passeggiata. Mosca sta conquistando territori in Donbass e continuerà a farlo se l'Occidente non fornirà armi in tempo e in quantità sufficienti. Restano però alcuni punti fermi.
Quali?
Zelensky e il suo governo rimangono al potere, nonostante i piani iniziali del Cremlino. Un governo forte, deciso a resistere e a proseguire il cammino dell'Ucraina verso l'Ue.
Altrove si registrano segni di stanchezza. In America e in Europa le opinioni pubbliche iniziano a tentennare.
Non c'è dubbio, la stanchezza si farà sentire perché il conto economico che la guerra consegna all'Occidente sarà sempre più salato. Ma si farà sentire anche per la Russia. Il decoupling energetico dell'Europa e dei Paesi G7 - gas, carbone, petrolio, nucleare - fa sì che Mosca conti molto meno per i governi e per le aziende europee. È un divorzio permanente.




Un (pessimo) show italiano a        San Pietroburgo.            E Confindustria carezza Putin


Di Francesco Bechis | 16/06/2022

Sul palco del Forum economico di San Pietroburgo, la "Davos" russa disertata dall'Occidente per la guerra in Ucraina, parla tra gli applausi il capo di Confindustria Russia Gozzi e il presidente della Camera di Commercio Trani. Tra consigli per investire, rassicurazioni e auspici, "le nostre aziende restano", uno show tutto italiano

Più che ospiti, consiglieri. Mentre il presidente del Consiglio Mario Draghi è a Kiev insieme a Emmanuel Macron e Olaf Scholz per dare manforte alla resistenza ucraina, Confindustria sussurra a Vladimir Putin come uscire dalla crisi. Scena: Alfredo Gozzi, presidente di Confindustria Russia, prende la parola al Forum di San Pietroburgo. Come anticipato dal Foglio, la presenza del numero uno di Viale dell'Astronomia a Mosca alla "Davos russa" non è mai stata messa in discussione, anzi. Poco importa che la "Davos russa" sia stata disertata da buona parte della comunità internazionale e che la presenza italiana sia un vero caso in Europa. Se un tempo farsi vedere all'ombra di Putin a San Pietroburgo era un primato per cui gareggiare, oggi, mentre le truppe russe radono al suolo l'Ucraina, vale l'esatto opposto.

Non per Gozzi, che viene invitato da Pavel Shinsky, direttore della Camera di Commercio russo-francese, a svelare al pubblico "il segreto italiano per preservare la vostra posizione e al tempo stesso il mercato russo". Risposta: "Hai detto bene, puoi dirlo forte. Il nostro segreto sono le piccole e medie imprese. E la maggior parte delle pmi italiane finora non ha lasciato la Russia. Vogliono continuare a lavorare con le aziende russe, restare nel mercato".

Inizia così, con un sospiro di sollievo, l'exploit dell'industriale italiano. Che prende poi a sciorinare una lunga ricetta per spiegare perché, per fortuna, le aziende italiane sanno adattarsi alla tempesta e non vogliono lasciare Mosca. Certo, non è facile. "Non solo hanno il problema delle sanzioni occidentali, ma anche delle misure prese dal governo russo - sospira Gozzi. "Non dico se sono giuste o sbagliate, è un fatto oggettivo. Non possono portare in Italia ricavi e profitti, avere transazioni libere". Ma le pmi italiane, garantisce, "hanno sempre mostrato un alto livello di adattabilità e di flessibilità, l'unica cosa che permetterà ad alcune di loro di sopravvivere".

Modello vincente, dunque. Tanto che la Russia, spiega il confindustriale, dovrebbe prendere esempio. "La Russia dovrebbe sviluppare il modello delle Pmi locali per permettere alle pmi di Paesi esteri di adattarsi a un nuovo mercato, dove le grandi aziende russe prenderanno il posto delle multinazionali che lo hanno abbandonato. Nella nostra visione questo è un passo fondamentale".

L'applausometro premia Gozzi. Premia ancora di più il connazionale che gli fa eco subito dopo: Vincenzo Trani. Presidente della Camera di Commercio italo-russa, è il capo di Delimobil, la società di car sharing russa che contava (fino allo scorso febbraio) Matteo Renzi nel suo cda. Un vero must nella Russian connection italiana, tra gli alfieri, peraltro, dell'operazione che ha provato a portare in Italia il vaccino russo anti Covid-19, Sputnik V.

A San Pietroburgo Trani è di casa e affonda subito il colpo. "La politica non può entrare nel business. Quando i businessmen diventano politici e viceversa, non può funzionare". Tradotto: l'Italia, quella raccontata da Trani al forum di Putin, vuole continuare come nulla fosse, business as usual. "Non siamo politici - riprende - questo è un messaggio chiave. La maggior parte delle nostre aziende continua ad operare. Non perché approvino la situazione attuale, ma perché hanno un approccio diverso". E poco importa, ammette, se "le autorità italiane e i media" gli chiedano conto di quel che dice e fa in questi mesi. "Io spiego loro che siamo la Camera di Commercio delle aziende italiane ma anche russe. Siamo il ponte tra Italia e Russia. E soffriamo quando vediamo che questo ponte è rovinato".

Interessante l'analisi di Lizzola

l'eco di Bergamo 15 giugno 2022
«Poca partecipazione al voto? La politica riparta dalle reti»
L'analisi Ivo Lizzola: «C'è un tessuto fine della democrazia nei territori che va guardato con occhi nuovi e che è stato decisivo durante il Covid»

Dino Nikpalj
Non è antipolitica e nemmeno disinteresse «perché abbiamo assistito, e stiamo assistendo, a tante realtà che ci dicono che non siamo in un periodo di disaffezione dalla partecipazione sociale e dalla costruzione di reti di prossimità e d'attenzione. Basti pensare a quelle familiari, per fare un esempio». E allora perché l'ultima chiamata alle urne si è rivelata fallimentare sul versante referendario e comunque deludente su quello amministrativo con percentuali medie di poco superiori al 50? Ivo Lizzola, professore di Pedagogia sociale e di Pedagogia della marginalità e della devianza all'Università degli Studi di Bergamo, invita a non cadere in facili semplificazioni: «Bisogna pensare seriamente a quello che sta succedendo e leggerlo con molta attenzione».
Sul referendum il giudizio è comunque tranchant: «Non è possibile che un istituto che ha senso perché consente ai singoli cittadini di unirsi per evidenziare determinati temi venga utilizzato dai partiti: quelli cioè che dovrebbero agire sulle leggi e produrre tutte le mediazioni del caso in temi complessi come la giustizia, per fare un esempio. Chi ha messo in crisi per primo l'istituto del referendum? I partiti stessi, una politica che non riesce a farsi carico delle proprie responsabilità».
Le relazioni di prossimità
Decisamente più sfumata e delicata, invece, la questione della bassa partecipazione alla vita amministrativa, a cominciare dalla base, la partecipazione al voto: «Dobbiamo fare una lettura del presente che tenga però conto anche dei tempi che lo precedono». Ovvero «questa è un'elezione amministrativa dopo la pandemia e in tempo di guerra».
E il covid «ci ha lasciato in eredità una fortissima sofferenza psicologica relazionale ed esistenziale che sta portando molti a requisire le proprie energie su di sé, il resto costa fatica». Una fragilità «che porta tantissimo a rinchiudersi, a non avere forze da mettere in gioco sulla scena pubblica. E non si tratta di punti percentuali di popolazione, ma di grosse maggioranze silenziose che rischiano di andare alla deriva se non stiamo attenti».
Ma paradossalmente è proprio l'esperienza del covid che ha permesso di prendere atto e valorizzare quello che Lizzola chiama «il tessuto fine della democrazia». Una «trama fitta di relazioni di prossimità che sta tenendo e ci ha permesso di reggere nei tempi drammatici della pandemia». Dove cioè «persone e famiglie si riconoscono le une di fronte alle altre, anche nelle differenze e fatiche e cercano di superarle nella prossimità con una dedizione e generosità che a volta non trovi nello spazio pubblico, spesso governato solo dalla logica del diritto e della tutela dei diritti. Qui si riconosce invece soprattutto il diritto dell'altro, fragile, a essere preso in attenzione. Stiamo parlando dei fondamentali della convivenza».
Perché in quei mesi d'incertezza «abbiamo dovuto reimparare a cercarci, diversamente non ce l'avremmo fatta e questa cosa sta continuando, nelle scuole e nei luoghi della cura, per esempio. Se così non fosse, le politiche territoriali non reggerebbero solo con la funzionalità dei servizi: tengono perché possono interagire e dialogare continuamente su questo tessuto di partecipazione sociale»
Non è più questione di credibilità
Insomma, per Lizzola esiste «una rete straordinariamente diffusa, magari non maggioritaria, che permette però alle famiglie di reggere gli urti della fatica: un tessuto fine della democrazia, appunto, che va però guardato con occhi nuovi. Bisogna ripartire da qui, la politica deve sapere interpretare queste realtà. Ma la nostra classe politica viene selezionata con questo sguardo, con questa forma di pensiero e linguaggio? Solo in piccola parte, purtroppo».
Chiaro che «la politica non può presentarsi solo come risoluzione di problemi individuali o interessi di gruppi, ma deve proporsi come qualcosa capace di ritessere continuamente il patto di convivenza. Questo è decisivo, ne va della democrazia». E molte esperienze di «liste civiche che hanno vinto vengono proprio da esperienze di questo genere, una dimensione flessibile che riesce ad occuparsi davvero delle persone».
Ma anche qui il covid ha lasciato comunque il segno perché nelle «sue sofferenze ha fatto sì che una parte della popolazione non veda più nell'impegno pubblico un luogo dove mettere energie, speranze, possibilità: preferisce semmai farlo in un tessuto immediato di partecipazione sociale». E questo sposta e amplia l'orizzonte della sfida: «Ora non è più questione di credibilità della politica come succedeva una volta ai tempi della corruzione, ma della riscoperta di un suo senso profondo nel tessere democrazia proprio nei contesti locali».
La politica locale è decisiva
Ripartire cioè davvero dal basso e non solo a parole: «Pensare a leadership soprattutto nei territori, capaci di leggere, ascoltare e costruire in modo congiunto conoscenza e compartecipazione nelle decisioni». Leadership fatte di « fedeltà e attenzione alla realtà, ricomposizioni e riconciliazioni continue. Perché nelle nostre comunità il livello dei microconflitti diffusi si è elevato di molto dopo il covid e la paura della guerra».
Ma soprattutto, rileva Lizzola, «non è più tempo di leadership che pensano di avere una competenza tecnocratica universale, una risposta su tutto. Oggi non è più solo questione di competenza ed efficienza, ma di visione: saper cioè lavorare insieme alle speranze ma anche alle paure delle persone, dare loro orientamenti positivi e non distruttivi. Non basterà blandire tutti o semplificare, perché più si farà così e più si illuderanno le persone, ma essere capaci di pensare per generazioni e non per accomodamenti. Saper cioè leggere le dinamiche nei tempi giusti e non solo nell'immediato».
«Noi pensiamo che la speranza sia qualcosa per anime belle, è sbagliato: è una forma di pensiero, di responsabilità reciproca che richiede competenze fortissime. E la democrazia è ancora il solo sistema che può permettere che questo avvenga senza che il conflitto sia esacerbato o si trovino capri espiatori» rileva Lizzola. Che rileva però come «da alcuni decenni la democrazia non sia vissuta come bene sostanziale e l'istituzione pubblica vista semmai come qualcosa a parte, della quale diffidare» Ed è anche per questo che «la politica locale è decisiva: qui vedi la concretezza e la misura, i sacrifici degli uni e degli altri, l'attenzione alle risorse». Serve cioè «una visione del'istituzione democratica come bene comune, prezioso tanto quanto la mia libertà e non strumento della mia libertà irresponsabil

mosaico di Fusi

Di Carlo Fusi | 13/06/2022 -

Politica

Si può discutere delle cause di un disinteresse così marcato, ma si può e si deve discutere soprattuto degli effetti che una tale diserzione dalle urne produce, soprattutto perché squaderna uno dei volti più inquietanti della crisi di sistema italiana: il buco nero della podestà legislativa. Il mosaico di Carlo Fusi

E adesso chi le fa le leggi in Italia? Gli elettori hanno boicottato i referendum sulla giustizia che hanno raggranellato il consenso più basso di sempre, intorno al 20 per cento. Si può discutere del perché sia successo, delle cause di un disinteresse così marcato. Ma si può e si deve discutere soprattuto degli effetti che una tale diserzione dalle urne produce, soprattutto perché squaderna uno dei volti più inquietanti della crisi di sistema italiana: il buco nero della podestà legislativa.

Vediamo. Secondo i canoni classici dei sistemi democratici, la sovranità appartiene al popolo che la esercita attraverso le forme della delega del potere: le elezioni, il Parlamento, il governo. Da decenni in Italia si assiste ad una crisi del meccanismo parlamentare, anche questo dovuto a vari fattori comprese leggi elettorali che hanno tolto agli elettori il potere di scegliere i loro rappresentanti. È una questione fondamentale troppo elaborata per essere affrontata in poche righe. È tuttavia impossibile contestare che il Parlamento, nella forma di bicameralismo pressoché perfetto che conosciamo, ha perso di autorevolezza e prestigio. Volendo affondare la lama, si può dire che è diventato un consesso di ratifica di decisioni prese altrove: nel Consiglio dei ministri, nei vertici dei partiti di maggioranza, nelle mediazioni svolte dal presidente del Consiglio. Di fatto, i provvedimenti legislativi di emanazione parlamentare sono stati azzerati: deputati e senatori votano le misure proposte e definite da Palazzo Chigi.

Contemporaneamente è via via andato in crisi anche il meccanismo che nelle intenzioni dei padri costituenti avrebbe dovuto fare da pungolo alle Camere offrendo ai cittadini, a determinate condizioni, la possibilità di cancellare norme approvate da Camera e Senato e costringendole così a colmare il buco legislativo prodotto dal voto popolare. Una forma precisa di cosiddetta "democrazia diretta" da affiancare alla podestà legislativa del Parlamento, in un bilanciamento di opzioni che negli anni ha svolto il compito meritorio di avviare l'Italia su sentieri di modernizzazione sociale: basti pensare ai referendum su divorzio e aborto; e ai tentativi di superare gli inceppamenti prodotti dal corto circuito Palazzo-Paese come nel caso dei referendum sulla preferenza unica. La storia recente spiega che dalla metà degli anni '90 in poi, quasi sempre il quorum della metà più uno degli aventi diritto non è stato raggiunto.

Dunque è in affanno legittimatorio il Parlamento e perde di attrattiva lo strumento referendario. Sono in crisi i due meccanismi che nelle democrazie liberali sono usati per approvare o cancellare le leggi.

Se così stanno le cose, si può tornar al quesito iniziale: chi fa le leggi in Italia? La risposta - al tempo stesso desolante e inquietante - diventa obbligata: le fa il governo con il Consiglio dei ministri che svolge una riedizione in piccolo del ruolo delle Camere, e con il presidente del Consiglio nelle vesti di mediatore-propulsore delle norme da varare. Nel mentre il Parlamento è sostanzialmente svuotato nelle sue funzioni e il referendum è scansato dagli elettori, l'esecutivo diventa l'organismo legislativo principe. Con una ulteriore torsione, anche questa poco tranquillizzante. Se infatti dopo il via libera in Consiglio dei ministri il provvedimento in questione incontra ostacoli in Parlamento per le riottosità delle forze politiche, il governo supera l'impasse con lo strumento della fiducia che azzera la possibilità di emendamenti e perciò, come detto, trasforma le Camere in assemblee con funzioni di ratifica o poco più. Già a metà degli anni '80, un giurista del calibro di Stefano Rodotà sottolineava che l'accoppiata decreto più fiducia stravolgeva il bilanciamento dei poteri sanciti dalla Costituzione. Negli anni, il fenomeno si è acuito e gli esecutivi governano ormai con una abnorme produzione di decreti legge cui si affianca un uso spasmodico del voto di fiducia.

A ciò si aggiunge l'usura dello strumento referendario che non funziona anche quando da singole norme "tecniche" da cancellare si passa a opzioni più strutturali di modifica della Costituzione. I testi prodotti da Berlusconi e da Renzi hanno subito la medesima sorte, finendo entrambi nel cestino.

Se le leggi le fa solo il governo in carica e le Camere ratificano mentre lo strumento referendario è disperso, è ancora democrazia? La domanda va posta affiancandole la continua discesa della partecipazione al voto, da quello politico generale a quello amministrativo. È il volto di un sistema bloccato e incapace di riformarsi, visto che i medici che dovrebbero curarlo sono gli stessi che inoculano i germi della malattia in una spirale perversa e apparentemente senza soluzioni.


Il tuo titolo

Il testo inizia qui. Puoi cliccare e iniziare a scrivere. Dicta sunt explicabo nemo enim ipsam voluptatem quia voluptas sit aspernatur aut odit aut fugit sed quia consequuntur magni dolores eos qui ratione voluptatem sequi nesciunt neque porro quisquam est.

Eos qui ratione voluptatem sequi nesciunt neque porro quisquam est qui dolorem ipsum quia dolor sit amet consectetur adipisci velit sed quia non numquam eius modi tempora incidunt ut labore et dolore magnam aliquam quaerat voluptatem ut enim ad minima veniam.

Il Consorzio di Bonifica e i politici: gara da un milione vinta dall'unica azienda partecipante

Inserisci sottotitolo qui

II dieci febbraio 2021. Il vice direttore generale del Consorzio di Bonifica, ingegner Giovanni Radice, firma una determina di spesa per 923.400 euro iva esclusa. Il bando se l'è appena aggiudicato l'unica azienda in gara, la Tecnologie Ambientali srl di Albino, con un ribasso del 2,4%. L'azienda è per il 90% di Dario Pegurri (27 mila euro di capitale sociale) e per il 10% (3 mila euro) di Paolo Franco, 47 anni, consigliere regionale eletto con Forza Italia e passato di recente a Fratelli d'Italia. Un bando da un milione con una sola azienda in gara. Fosse l'unico caso che colpisce. La lista, scorrendo l'elenco infinito di determine e pagamenti, è piuttosto lunga per questo Consorzio di Bonifica finito nel mirino della Regione dopo che il Corriere ha pubblicato le spese di rappresentanza da nababbi (oltre 80 mila euro per due inaugurazioni).

Ora il capitolo dedicato alla politica. Amministratori pubblici o di partito, che ricevono incarichi lautamente pagati per questo ente di natura pubblica che si occupa di irrigazioni e bonifiche grazie ai soldi raccolti dalle quote consortili. E così può capitare che un bando di quasi un milione (con iva 1,228 milioni e 500 euro) venga assegnato all'unica azienda che si presenta. Causale: «Lavori di manutenzione, revisione, implementazione e conservazione delle apparecchiature di telemisura, telecontrollo e telecomando ubicate presso gli immobili, impianti e le posizioni di rilevamento consortili per un periodo avente durata di mesi 36». Venti giorni prima, nella sala riunioni del Consorzio di Bonifica, erano stati assegnati altri lavori per 528.349,16 euro (iva esclusa) alla stessa Tecnologie Ambientali Srl per la «Manutenzione ordinaria del sistema di telecontrollo e telecomando a servizio del canale di derivazione dal fiume Adda». La commissione aggiudicatrice, accertato che la Tecnologie Ambientali è l'unica partecipante e che non sussistono i presupposti di anomalia, manda tutto al responsabile unico del procedimento: lo stesso, potentissimo ingegner Radice, per dar corso al pagamento.

In meno di un mese, dunque, lavori per oltre 1,8 milioni di euro iva inclusa a una sola azienda (e unica partecipante alle gare). E dire che la Tecnologie Ambientali di Albino era partita nell'anno 2017 con poco più di 300 mila euro di incarichi (dalle «Indagini sul microclima nei luoghi di lavoro chiusi» per 3.200 euro, al «Servizio di Tecnico responsabile per la conservazione e l'uso razionale dell'energia del Consorzio di Bonifica, l'Energy manager», 134 mila euro per luglio 2017-giugno 2020). Gli anni successivi, a parte il 2019 (118 mila euro), è stato un crescendo rossiniano: un milione e 200 mila euro nel 2018, quasi un milione e mezzo nel 2020.

La replica

«Negli ultimi anni - spiega il presidente del Consorzio di Bonifica, Franco Gatti -, è cresciuto parecchio il bilancio dell'ente, di conseguenza anche i lavori». Domanda: ma non c'è incompatibilità per un consigliere regionale come Franco che è titolare di quote in un'azienda che riceve incarichi dal Consorzio di Bonifica, ente di natura pubblica controllato dalla Regione (tanto che nel Cda siede un consigliere in rappresentanza della Regione stessa)? La Legge regionale 2 dicembre 2016, numero 31, tra le cause di incompatibilità cita «Il titolare, i componenti degli organi di gestione o amministrazione, l'amministratore delegato...». Risposta del presidente Gatti: «Abbiamo rapporti con Tecnologie Ambientali ancora prima che Paolo Franco diventasse consigliere regionale. Non c'è alcuna incompatibilità». E nemmeno gravi profili di inopportunità? «Questo non spetta a noi valutarlo, Tecnologie Ambientali è una ditta che ha sempre dimostrato grande professionalità».

Le consulenze contabili

Non è l'unica di cui il Consorzio si fida e a cui affida lavori. Nella consulenza fiscale l'ente di Bonifica si appoggia al blasonato Studio Lorenzi e Associati di Azzano San Paolo. Esperienza trentennale, 20 dipendenti, consulenza fiscale e tributaria; consulenza del Lavoro grazie allo studio associato Lorenzi Gamba e sulla sicurezza del Lavoro tramite la società Axios Group srl.Stefano Lorenzi, il presidente del Consiglio di amministrazione dello studio e che detiene il 60% delle quote, è anche il responsabile degli enti locali per Forza Italia a Bergamo. Quest'anno riceve un incarico per 73.360 euro per servizio di «Assistenza e consulenza in materia fiscale e contabile sia per l'attività istituzionale che per l'attività di produzione idroelettrica (per il periodo settembre '21-dicembre'23)» e per 38.500 euro per «Servizio di protocollazione e archiviazione (marzo '21-febbraio '22)». In tutto 111.860, oltre il doppio di quelli affidati l'anno prima (43.250).

Per quanto riguarda i video, c'è un altro forzista gettonato dal Consorzio: è il sindaco di Spinone al Lago, Simone Scaburri, 42 anni, da venti - dice il suo profilo Linkedin - si occupa di visual design. La sua agenzia di comunicazione, la White Hub snc con sede a Spinone, è nata nel maggio 2016. È sua la realizzazione del video (4.400 euro di affidamento diretto) alla recente inaugurazione della Cascina San Giuliano, per la verità uno dei tanti video, per un taglio del nastro costato più di 51 mila euro. Sempre nella stessa occasione, un affidamento diretto da 2.600 euro per «Servizio fotografico, riprese video e assistenza ufficio stampa» (evidentemente non bastava l'ufficio stampa da 20 mila euro per quel solo evento). Nel settembre scorso, affidamento diretto (4.800 euro) per realizzare il video di presentazione del Nuovo Piano di Classifica (riclassificazione degli immobili per il riparto degli oneri consortili). Un mese prima l'affidamento diretto da 14 mila euro (iva esclusa) per la «realizzazione di video di promozione dell'attività istituzionale consortile». E nel marzo scorso un affidamento diretto per 4.500 euro per «Implementazioni nuovo sito web consortile» che la White Hub di Scaburri Simone aveva già realizzato nel 2019 per 16.745 euro.

Davide Zanga, 37 anni, eletto con Forza Italia, è assessore comunale al bilancio di Albino e ha come riferimento politico Paolo Franco. Zanga è anche titolare della Edilnova di Albino. Nel 2020 l'impresa si è aggiudicata lavori per un milione e mezzo di euro per «manutenzione ordinaria sulla rete degli impianti irrigui e di scolo nel comprensorio consortile per il 2020-2021». In gara, stavolta, altre 11 aziende. Inoltre ha partecipato alla ristrutturazione della Cascina San Giuliano a Medolago «dove siamo stati attivi protagonisti», gongola Zanga in chat il giorno dell'inaugurazione d'oro.

C'è un lavoro pure per l'architetto Paolo Melli, che nel marzo 2019 è stato nominato da Daniela Santanché responsabile dipartimento Infrastrutture di Fratelli d'Italia Lombardia. Una consulenza specialistica nella redazione progettuale per «Adeguamento e ammodernamento degli impianti di sollevamento su pozzi ricadenti nel comprensorio contortile, finalizzati all'uso razionale e ad una gestione sempre più efficiente della risorsa idrica». Un affidamento diretto da 38.500 euro.

29 ottobre 2021 | 07:54© RIPRODUZIONE RISERVATA

I

l'Eco di Bergamo 17 ottobre 2021

Fondi Bim per turismo scuole, strade e sociale Valle Brembana unita
Risorse Ok unanime sulla destinazione dei due milioni del Consorzio. Alla ciclabile 300mila euro, al Don Palla 200mila euro. Viabilità a nuovo a Gerosa, Serina e Bran
zi

Andrea Taietti
La Valle Brembana si riscopre unita. È questo il risultato politico importante che si evince dall'assemblea della Comunità montana tenutasi ieri e in cui è stata approvata, con votazione unanime, la ripartizione dei Fondi Bim 2020 e 2021 a 23 diversi progetti di sviluppo socio-economico del territorio.
«Si tratta di un risultato importante - ha dichiarato il presidente Jonathan Lobati - visto che l'ultima volta che si era discusso dei fondi Bim si era creata una spaccatura profonda durata quattro anni. Il voto unanime è ancora quindi più significativo, perché dimostra l'unità finalmente ritrovata in valle per il bene del nostro territorio».
I due milioni e 140mila euro di fondi a disposizione dell'ente sono stati destinati a scuola, sviluppo turistico, strade, dissesto idrogeologico, sanità e nuove progettazioni. «Il Bim ogni anno stanzia un milione e 70mila euro - ha continuato - e in questa assemblea dovevamo deliberare i fondi del 2020 e del 2021. Di questi, 300mila euro li abbiamo destinati alla pista ciclabile della Valle Brembana, per interventi straordinari nei comuni di Ubiale, Sedrina, San Pellegrino, San Giovanni Bianco e Zogno (che si aggiungono ai 700mila euro già stanziati in passato per la manutenzione barriere); 200mila euro per la Fondazione Don Palla, l'Rsa dell'alta valle, per interventi di potenziamento della struttura; 120mila euro invece per la protezione civile (che la Comunità montana gestisce in convenzione per tutti i 37 comuni vallari), per l'acquisto attrezzature, sistemi radio e per un progetto in collaborazione con Areu per installazioni di webcam dedicate».
Diversi gli interventi finanziati per la sistemazione di strade (103mila euro per la Gerosa-Blello, 100mila per la provinciale 27 della Val Serina, 120mila Branzi per abbattimento edificio e allargamento della strada provinciale all'interno dell'abitato) o per progetti e opere inerenti il dissesto idrogeologico (50mila euro come fondo per interventi di pronto intervento e prima emergenza in favore dei Comuni in caso di dissesto, 40mila per studio idrogeologico per essere pronti per prevedere e anticipare eventuali problemi per i prossimi anni).
«Per la scuola - ha spiegato Lobati - 150mila euro andranno al progetto del polo scolastico dell'alta Valle Brembana. Mentre per il turismo verranno destinati 50mila euro per progetti di sviluppo dei sentieri; 40mila per partecipare a bandi regionali di promozione del territorio; 25mila per lo sviluppo di progetti di collegamento itinerari e-bike in quota e di collegamento con la pista ciclabile; 35mila euro per un progetto di valorizzazione del marchio Formai de Mut dell'alta Valle Brembana; 23mila in favore degli 11 Comuni di Altobrembo per progettualità condivise di carattere culturale e turistico; e 50mila per il progetto di sviluppo turistico del laghetto di Algua-Costa Serina». Poi ancora: 35 mila euro per l'acquisto di due ambulanze, una per la Croce rossa e una per la Croce verde; 20mila come contributo al Soccorso alpino per acquisto di un mezzo veloce; 50mila per un progetto di sviluppo socio-economico di tutto il territorio vallare; 100mila per sviluppo di infrastrutture tecnologiche dei Comuni; 150mila sul sociale, per aiutare i Comuni.

«Sono soddisfatto - ha concluso Lobati - perché si è fatto un lavoro importante per cercare di raccogliere le varie esigenze del territorio. Ricordiamoci che sempre con altri fondi Bim, un mese fa abbiamo stanziano un milione e 800mila euro per il completamento della Tangenziale sud di Bergamo, la Paladina-Sedrina (fondi destinati alla progettazione definitiva dell'opera), un'opera che per il nostro territorio resta prioritaria, e anche attraverso quella scelta avevamo dimostrato unità. Ora, assegnati questi fondi lavoriamo per vedere realizzata anche quella».

VIENE NATURALE CHIEDERSI: L'ISOLA DOVE? 


Condanna dall'Ue per le fogne Uniacque

«Ma qui è già tutto sistemato»

La sentenza della Corte di giustizia inquadra la situazione al 2017 Inadempienze anche in quattro realtà orobiche. Nel frattempo fatti i lavori

fausta morandi
L'Italia non ha rispettato alcune disposizioni comunitarie in materia di fognature e depuratori: a metterlo nero su bianco è stata ieri una sentenza della Corte di Giustizia europea. Il pronunciamento, nato da una procedura avviata già nel 2014 dalla Commissione europea, individua inadempienze - nella realizzazione stessa delle reti fognarie, nelle modalità di trattamento dei reflui, nei requisiti degli impianti - in oltre seicento «agglomerati» al di sopra dei duemila abitanti (quelli più piccoli, finora, non sono finiti sotto la lente dell'Ue) in tutta la Penisola. Comprese alcune realtà bergamasche: Bergamo (citata in realtà in relazione al territorio di Almenno San Bartolomeo), Castelli Calepio, Oltre il Colle e la Val Brembana.
Tutti luoghi però dove nel frattempo la situazione è cambiata: negli ultimi anni Uniacque ha messo in campo interventi per un valore totale di circa 38 milioni di euro. «Ad Almenno San Bartolomeo è stato realizzato il collettamento - ricostruisce l'amministratore delegato di Uniacque Pierangelo Bertocchi -. A Castelli Calepio abbiamo collegato i depuratori che erano sottodimensionati con l'impianto di Palazzolo sull'Oglio, tramite un apposito accordo. In Valle Brembana è stato realizzato il collettamento fognario per l'area di San Pellegrino e San Giovanni Bianco, verso il depuratore di Zogno. E a Oltre il Colle è stato costruito un intero nuovo impianto di depurazione».
Perché allora siamo citati nella sentenza? Perché essa «fotografa» la situazione al 18 luglio 2017, che era il termine fissato da Bruxelles all'Italia per risolvere le criticità segnalate. E a quella data anche in terra bergamasca questo non era stato fatto, o almeno non del tutto. «Parliamo di interventi avviati dal 2015 e completati poi fino al 2019-2020 - spiega Bertocchi -. Siamo tranquilli e pronti a dimostrare quanto realizzato a qualunque ente superiore ce lo chiederà. Attualmente, sulle realtà gestite da Uniacque, non risultano altri potenziali problemi di infrazioni». Non è affatto detto che lo stesso si possa affermare per tutti gli altri agglomerati italiani (molti concentrati al Centro-Sud, ma non solo) che rientrano nella sentenza. Trattandosi però della prima condanna su questo dossier, per ora non sono previste multe né altre sanzioni. Che però potrebbero arrivare se le situazioni aperte non venissero risolte e la Commissione Ue decidesse di procedere con un nuovo passo. Va detto che in generale queste procedure sembrano, almeno in alcuni casi, aver avuto il merito di «sbloccare» e spingere a realizzare interventi che hanno ricadute molto importanti sul fronte ambientale.
«Sapevamo che alcune situazioni bergamasche erano nella procedura di infrazione, ma ora sono completamente risolte - conferma la direttrice dell'Ufficio d'Ambito Norma Polini -. Sulla sentenza aspettiamo comunque le comunicazioni ufficiali della Regione».

Petizione su Tariffe Acqua

Inserisci sottotitolo qui

Vi invitiamo ad aderire alla petizione lanciata dalla nostra associazione con lo scopo di chiedere alla politica locale e provinciale:  

- che venga rivisto l'incremento delle tariffe dell'acqua, prevedendo una rimodulazione degli aumenti come previsto dalla vigente normativa

- che venga conseguentemente prevista la restituzione della differenza rispetto alla tariffa attualmente applicata

- che venga sospesa e verificata nelle sedi competenti la retroattività della tariffa al 1° gennaio 2019

PER ADERIRE CLICCA SUL SEGUENTE LINK:

 https://chng.it/DXh4gwgn4p 



Perché associarsi

Perché le cose possano cambiare abbiamo bisogno di un impegno da parte di tutti Voi.

L'associazione nasce per volontà di alcune persone convinte che se vogliamo cambiare in meglio le cose che non sono funzionali agli interessi del cittadino, è necessario impegnarsi in prima persona e non come è più facile e abituale fare, esprimendo una critica sterile.

Gli iscritti all'Associazione sono persone persuase che il sistema Italia ha smarrito la strada principale tracciata da una carta costituzionale che seppur datata corrisponde alle nostre esigenze.

L'Associazione nasce per volontà di alcuni cittadini convinti che la politica legislativa sia poco comprensibile anche agli stessi addetti ai lavori. Decreti attuativi caliginosi che permettono differenti interpretazioni della stessa legge, originando in tal modo un disordine interpretativo che genera sfiducia verso le istituzioni.

Partendo da questi presupposti nasce il primo impegno della nostra associazione: novembre 2015 incontro pubblico sulla riforma sanitaria lombarda.

Negli anni a seguire fino ai giorni nostri, abbiamo organizzato diversi altri incontri su vari temi, i più importanti tra questi la riforma costituzionale 2016, la legge sull'omicidio stradale, organizzato con i licei Betty Ambiveri e Maironi, diversi incontri sul sistema Residenze Sanitarie Assistenziali, incontri sulla tassa, iniqua, del Consorzio di Bonifica della Bassa pianura Bergamasca.

Dal 2017 siamo impegnati sul fronte dell'acqua potabile. Per volontà popolare (referendum 2011 sull'acqua pubblica) tutte le società di servizio idrico dovevano confluire in un'unica società provinciale a capitale pubblico. Ed è qui che cominciano i guai, seri, per tutti i cittadini della provincia, in particolare per i centocinquantamila ex utenti Hidrogest dell'Isola Bergamasca.

Oggi la gestione del Servizio Idrico Integrato è affidato alla società Uniacque S.p.A. che gestisce la maggior parte del territorio provinciale. Come a volte capita nell'interpretare i decreti attuativi, sono emerse diverse interpretazioni, interpretazioni utilizzate in funzione di interessi politici particolari. Il principio del legislatore era e dovrebbe essere un servizio pubblico monitorato da un ente di controllo che garantisca il rispetto della norma: qualità e costo di un servizio pubblico. Non è comprensibile che applicando una legge voluta per regolamentare il mercato dell'acqua, lo stesso servizio risulti più oneroso del quaranta fino al novanta per cento rispetto alla precedente gestione di Hidrogest S.p.A.

Qualcosa non va, in questa direttiva, ma solo una politica attenta al fine di garantire equità può se vuole cambiare leggi e norme che vanno contro ogni logica di buon senso.

Dopo un periodo di lockdown imposto dalla pandemia e con la speranza che il peggio sia ormai alle spalle, si riprendono le iniziative che il contagio aveva reso necessario congelare. Stiamo discutendo in questi primi mesi dell'anno in corso gli aumenti del Servizio Idrico Integrato: restiamo convinti che per i cittadini dell'isola bergamasca è stata usata una prepotenza politica incomprensibile. Aumenti tariffari retroattivi ingiustificati in base ad interpretazioni che noi contestiamo e per i quali aumenti abbiamo chiesto delucidazioni di merito all'autorità di controllo ARERA. Per questo chiediamo la vostra collaborazione a partecipare all'associazione, se approvate le nostre campagne informative.

Le nostre iniziative, i nostri convegni, le conferenze stampa sulle tematiche socioeconomiche, le potete trovare sul nostro sito ufficiale e sui nostri indirizzi social:

www. isola-bene-comune.webnode.it

https://m.youtube.com/channel/UCCwqfPZCTEhTVo3KrJvHZHQ

https: //instagram.com/associazione.isolabenecomune...

https://www.facebook.com/Associazione-isola-bene-comune-107968738170068


https://www.youtube.com/watch?v=e8LNv-vGs4Q&t=3904s
https://www.youtube.com/watch?v=e8LNv-vGs4Q&t=3904s

conferenza stampa

 NO ACQUA SALATA  

26 MARZO 2021

la conferenza stampa la puoi riascoltare sul canale You Tube dell'associazione: digitando: no acqua salata, oppure cliccando il link qui sotto.

https://www.youtube.com/watch?v=e8LNv-vGs4Q&t=3904s

Acqua salata

ACQUA SALATA
ACQUA SALATA


Le associazioni di categoria sono impegnate a capire cosa ci aspetta il prossimo autunno ormai alle porte.

Una proiezione di Confesercenti (v. L'Eco di Bergamo del 25 agosto) afferma che sarà un autunno nero e per molte imprese sarà un autunno a rischio. Si stima un calo sensibile del PIL che porta ad ipotizzare la chiusura di 90mila imprese sul territorio nazionale, con una disoccupazione tra 492mila e 665mila nelle regioni del Nord. I comparti ad alto rischio, commercio e turismo.

L'area dell'Isola bergamasca è un'area ad elevato numero di imprese ed un alto indice occupazionale nei diversi settori (industria, artigianato, commercio). Sfortunatamente questo sembra non preoccupare alcuni gestori di servizi pubblici che hanno l'esclusiva. Tra questi spicca il caso del servizio idrico, che nell'Isola a seguito del passaggio della gestione a Uniacque aumenta il suo costo del 30% per le utenze casalinghe e fino al 90% per le imprese.

.....     clicca qui per leggere tutto QUI

Corona Virus 

Cari soci e amici di ISOLA BENE COMUNE

Puo' sembrare banale ripetere ciò che da giorni sentiamo la famosa frase "STATE A CASA", non scherza ed è, al momento, l'unica barriera per frenare i contagi del Corona Virus.

Le riunioni e i progetti che avevamo in cantiere, sono inequivocabilmente posticipati a date meno problematiche. Come tutti vogliamo applicare le direttive che vengono impartite.

Nel frattempo chi lo desidera, può attivarsi per sostenere gli ospedali, in particolare l'Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo. Non importa la somma credo che un piccolo contributo da tutti può diventare un grande contributo e quindi vi invito a farlo. Qualunque somma va bene.

Chi vuole intervenire lo faccia direttamente consultando il sito del Papa Giovanni XXIII https://www.asst-pg23.it/2020/03/_emergenza_coronavirus_come_aiutarci/

Come sempre il popolo Bergamasco quando chiamato alla solidarietà, non e secondo a nessuno. Tutti, in modo diverso secondo le proprie disponibilità, sono certo CONTRIBUIRÀ

ISOLA BENE COMUNE   

Biblioteca Brembate Sopra
Biblioteca Brembate Sopra

SOGNO  O SON DESTO

Da Capriate a Calusco in tram Tredici paesi lanciano la proposta

L'Isola del futuro vuole essere la casa del trasporto leggero su rotaia. Oltre all'allacciamento della linea tramviaria Bergamo-Villa d'Almé da Ponte San Pietro, richiesto in coro alla Provincia dai sindaci della Valle Imagna e dell'Alta Isola, spunta la richiesta, presentata da altri tredici Comuni dell'Isola, di inserire un collegamento in «stile Teb» tra il casello autostradale di Capriate San Gervasio e la stazione ferroviaria di Calusco d'Adda, costeggiando la provinciale «Rivierasca» e con almeno una fermata per ogni abitato. Clicca QUI per leggere tutto


Festival dell'Archeologia Partecipativa

Importante iniziativa di ricerca archeologica a Brembate
6 - 12 maggio 2019

Il patrimonio storico è un bene pubblico, ma per conservarlo e valorizzarlo è indispensabile prima di tutto conoscerlo. Il Festival coinvolge, in occasione della Sagra di San Vittore a Brembate sotto, associazioni locali, scuole e tutti gli abitanti del paese, insieme ad alcuni ricercatori dell'Università di Padova in un innovativo progetto di "Archeologia partecipativa".

RSA: 

cosa offrono le Residenze assistenziali sanitarie ? 



  • Una sistemazione residenziale ma con un'impronta il più possibile domestica, organizzata in modo da rispettare il bisogno individuale di riservatezza e di privacy, stimolando al tempo stesso la socializzazione tra gli ospiti: in parole semplici, il paziente ricoverato deve, pur trovandosi in una struttura paramedica, sentirsi a casa, conducendo uno stile di vita che sia il più possibile somigliante a quello che aveva presso la sua abitazione;
  • tutti gli interventi medici, infermieristici e riabilitativi necessari a prevenire e curare le malattie croniche e le loro eventuali riacutizzazioni;
  • un'assistenza individualizzata, orientata alla tutela e al miglioramento dei livelli di autonomia, al mantenimento degli interessi personali e alla promozione del benessere.

Per leggere tutto clicca QUI

Referendum: Per una maggiore disponibilità economica della Lombardia

Una opportunità da non perdere

La  nostra associazione ha chiesto a due consiglieri regionali Angelo Capelli e Mario Barboni, di motivare le ragioni per il SI e i motivi del NO.

 La Lombardia con il referendum del 22 ottobre prossimo, vuole chiedere ai suoi cittadini, con questa consultazione popolare, il vostro parere sull'indipendenza economica della nostra regione. Testo della scheda:                                      Volete voi che la Regione Lombardia, in considerazione della sua specialità, nel quadro dell'unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo stato l'attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 116, terzo comma, della Costituzione e con riferimento a ogni materia legislativa per cui tale procedimento sia ammessa in base all'articolo richiamato?                    S I                                            NO      scheda bianca

Acqua un bene preziosissimo!

sprecare acqua è un sacrilegio

Da sempre l'acqua è fonte primaria dell'esistenza umana, è un bene più prezioso dell'oro e dei diamanti. L'acqua, così come la terra coltivata, è da sempre l'alimento primario della sussistenza umana, un bene da conservare gelosamente cercando di utilizzarla senza sprechi inutili.

La premessa serve per fare chiarezza su enti di controllo delle acque, presenti su tutto il territorio Nazionale denominati Consorzi di Bonifica. Enti autonomi che hanno la funzione di gestire tutta quella rete idrica destinata all'agricoltura e in parte minore alla messa in sicurezza di aree sottoposte a possibili esondazioni, in presenza di vigorose precipitazioni.

Per sostenere economicamente il Consorzio di Bonifica della bassa pianura bergamasca, tutti devono versare un contributo in base alla proprietà posseduta e registrata sul libro catastale. Tre le fasce di contribuzione: piccoli, medi, e grandi proprietari di case aziende e terreni.

Un contributo giusto! Senza ombra di dubbio, purché non vi siano disuguaglianze e o sprechi ingiustificati come quello che da mesi si sta verificando nella zona sud di Boltiere (area depuratore Uniacque ).

Dalla mia prima denuncia del maggio 2017 (con fotografie allegate) non è ancora cambiato nulla, a tutt'oggi un giorno alla settimana vanno sprecati migliaia di mc di acqua per irrigazione, acqua che invade le strade di campagna adiacenti al fossato.

Domenica 20 agosto mi è stato chiesto, da un agricoltore del posto, di assistere a un'ispezione, e mi è stato fatto notare che il motivo della perdita d'acqua era una canaletta ostruita da rovi e detriti che impediscono lo scorrimento a valle dell'acqua destinata all'irrigazione del suo terreno. Irrigazione per la quale l'agricoltore paga una cospicua somma annuale ricevendo in cambio un mancato servizio.

Spiace dover denunciare questi disservizi che recano danni all'immagine del consorzio e ancor più gravi danni economici, a chi pur pagando in anticipo non viene adeguatamente garantito il servizio.

Foto scattate domenica 20 agosto.

Crea il tuo sito web gratis! Questo sito è stato creato con Webnode. Crea il tuo sito gratuito oggi stesso! Inizia